Coia: riforma cartelloni in ritardo per un errore del 2017. Ma non è così

Secondo l'assessore, fu chiesto alle Soprintendenze un parere non corretto. E questo giustificherebbe 4 anni di rinvii?

 

La riforma della cartellonistica pubblicitaria fu approvata dalla giunta Marino nel luglio del 2014. Sono trascorsi più di sette anni ma i passi avanti compiuti sono stati pochissimi. Per chiarire ai lettori meno informati, la riforma prevedeva una drastica riduzione del numero di impianti presenti sul territorio, i quali sarebbero stati riposizionati secondo i “piani di localizzazione” e poi messi a gara.

Dunque, per completare l’iter, si sarebbero dovute compiere due azioni:

  1. approvare i piani di localizzazione
  2. indire i bandi di gara

L’amministrazione Raggi, iniziò a governare il Campidoglio a giugno 2016 e avrebbe dunque avuto tutto il tempo per completare una riforma che lo stesso Movimento 5Stelle aveva votato pur dai banchi dell’opposizione.

L’unico vero atto di questa amministrazione risale al novembre del 2017, quando (assessore era Adriano Meloni) furono approvati definitivamente i Piani di Localizzazione (PiaLMIP) e non furono inviati alle Soprintendenze per un parere, in quanto tale parere era stato già acquisito in sede di conferenza dei servizi nel 2015. Da allora tutti gli altri atti sono stati di ordinaria amministrazione se si esclude l’ottima iniziativa dell’oscuramento dei cartelloni abusivi del 2019.

Andrea Coia

 

Le associazioni che più si sono battute per l’ottenimento della riforma (Vas e Bastacartelloni-Francesco Fiori) a maggio scorso hanno inviato all’assessore Andrea Coia una formale richiesta di spiegazioni sul perché la riforma non facesse passi avanti.

L’assessore Coia ha risposto con una nota scritta nella quale afferma che nel 2017 fu commesso un errore in quanto agli Enti di Tutela fu chiesto un parere generale e non specifico sui Piani di Localizzazione. Questo errore – secondo l’assessore – ha generato un ritardo oggettivo.

Il tema è tecnico e quindi è complesso spiegarlo senza annoiare chi legge. La riflessione, tutta politica, invece si può fare facilmente: Coia sta cercando una scusa, un pretesto per giustificare un ritardo del tutto voluto e non dettato da alcuna difficoltà di carattere procedurale. Se anche fosse che occorreva raccogliere nuovamente il parere delle Soprintendenze, questo non avrebbe certo richiesto 4 anni e mezzo.

Già a novembre del 2020, il suo predecessore Carlo Cafarotti (perché in quel dipartimento si sono avvicendati 3 assessori) aveva provato a millantare la stessa scusa di fronte la telecamera della trasmissione di Rai3, Report. Al giornalista che gli chiedeva perché tanto ritardo, Cafarotti rispose che le Soprintendenze dovevano ancora esprimere il loro parere tecnico. E alla domanda su quando i documenti sarebbero stati inviati alle Soprintentenze, l’ex assessore fu costretto a rispondere tra i denti che erano stati inviati da poco!

Insomma, la cronistoria sarebbe la seguente: l’errore risale al 2017, ma ci si prova a mettere una toppa solo nel 2020 (ben tre anni dopo). E durante l’estate del 2021, a chi chiede perché la riforma resti in stallo, Coia risponde che si sta attendendo ancora il parere.

Un racconto che non sta in piedi e lo si capisce senza bisogno di essere esperti della materia. Se poi si vuole entrare nel merito della questione si può leggere la risposta approfondita che le associazioni cittadine hanno inviato all’assessore Coia proprio in queste ore, nella quale viene spiegato perché non fu commesso alcun errore nel 2017. In quella sede, infatti, bastava un parere generale degli Enti di Tutela (che era stato espresso nel 2015) mentre il vero e proprio “nulla osta” ed eventuali “autorizzazioni paesaggistiche” da parte delle Soprintendenze devono essere espresse prima che i bandi di gara saranno espletati. Solo a quel punto, gli Enti di Tutela potranno dire se un determinato cartellone avrà o meno il nulla osta per essere installato in una certa posizione.

Ma c’è di più: per cercare di giustificare l’inerzia sua e della giunta in questi anni, Coia ha scritto nella lettera alle associazioni “di aver compiuto un atto importante“. E cioè “la pubblicazione dell’avviso per l’assegnazione di spazi pubblicitari su aree private o di proprietà non comunale”. Anche qui Coia la vende come se fosse la rivoluzione di tutti i tempi, peccato che pochi giorni fa abbiamo spiegato ai nostri lettori che il provvedimento non solo non cambierà di una virgola la situazione del decoro cittadino ma anzi andrà ad incrementare i cartelloni in alcune strade periferiche e non urbanizzate. Tanto più che il bando di cui parla l’assessore, contiene pure degli errori in termini numerici relativi ai metri quadri di pubblicità ad assegnare.

La verità è che questa giunta non ha mai creduto alla riforma della cartellonistica e anzi proprio Andrea Coia ha fatto in modo che essa non procedesse nel suo iter. Lo fece nella sua qualità di presidente della Commissione Commercio quando volle smontare il servizio di bike sharing finanziato dalla pubblicità con il pretesto che avrebbe arricchito le multinazionali. Lo fece Carlo Cafarotti quando da assessore dichiarò di voler riscrivere parti sostanziali della riforma salvo poi andare a sbattere contro un muro.

I tempi per approvare e mandare in porto un lavoro puntuale che fu compiuto tra il 2013 e il 2015 ci sarebbero stati abbondantemente e oggi Virginia Raggi si sarebbe potuta vantare con i suoi elettori di aver dato a Roma un vero bike sharing pubblico, di aver eliminato tanti brutti cartelloni che rovinano l’immagine della città e di aver reso le nostre strade più sicure.

Invece lei e la sua giunta sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di cercare scuse per l’ennesima riforma mancata.


Per la lettera inviata dall’assessore Coia clicca qui

Per la replica di Vas e Bastacartelloni-Francesco Fiori all’assessore Coia clicca qui

Tutte le notizie relative ai cartelloni pubblicitari nella sezione dedicata del sito

 

 

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Una risposta

  1. L’unica cosa che emerge è la mancanza di volontà politica ad agire, e viene da pensar male che sia un ritardo voluto. Dopo cinque anni non credo più che sia solo incompetenza.

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