Suburra, il film che mostra la parte non emersa di Roma. Un’anteprima di Mafia Capitale

In questa ultima domenica di quarantena, vale la pena guardare la pellicola di Stefano Sollima. Una Roma, del 2011, sull'orlo del baratro che ancora non si è ripresa

Esiste una Roma magnifica fatta di monumenti, arte, cultura, profumi e colori, e poi esiste una Roma invisibile, malfamata, corrotta a più livelli, marcia e violenta. Una città che come un iceberg, tal volta, mostra solo la sua punta bianca e candida che offusca tutto il resto.

L’intento di Suburra, il film diretto nel 2015 da Stefano Sollima, è quello di portare alla luce la parte buia, quella non emersa. Ispirato dall’omonimo libro di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, la storia mostra una città sull’orlo del baratro. La sceneggiatura ricalca diverse vicende di cronaca sette giorni prima delle dimissioni di Silvio Berlusconi nel 2011 dalla carica di Presidente del Consiglio. Nel sottolineare la portata nefasta di quelle tristi vicende, Sollima anticipa di due anni le dimissioni dell’allora pontefice Papa Benedetto XVI.

Una città che in soli sette giorni, l’arco cronologico scelto dal regista, si ritrovò senza potere, quello temporale e quello spirituale. Non esistono figure paterne in grado di colmare quel vuoto, c’è un protagonista, il politico Filippo Malgradi (Pier Francesco Favino), impegnato però a trascorrere il suo tempo in festini a base di droghe ed escort, ci sono funzionari corrotti, cardinali piegati alla malavita, e poi tutto il cosmo della criminalità Sinti che per anni ha terrorizzato indisturbata la città. Tutto questo circo costituisce la “Suburra”, ovvero il nome che gli antichi romani davano al quartiere malfamato di Monti, tra l’attuale stazione Termini fino a Piazza di Venezia.

Lo scopo di Sollima non è quello di tratteggiare una storia romantica e tormentata come avvenne in Romanzo Criminale (diretto da Michele Placido nel 2005), ma quello di mostrare, anche se in maniera molto sintetica, quello che la magistratura definì Mafia Capitale. Una “terra di mezzo”, a detta del criminale Massimo Carminati, dove tutti si incontrano e tutti chiedono e ottengono favori. Una città che ingloba i suoi affari fino ad Ostia, altra meta dove i clan spartiscono i loro interessi come in una grande torta.

La pellicola ebbe un ottimo riscontro, tanto che ne seguì una serie televisiva di ben due stagioni, diretta da Michele Placido (la terza in corso di produzione), dove gli sceneggiatori, liberi di poter sfruttare tutti i retroscena delle indagini e delle sentenze emesse, non si risparmiarono nel tratteggiare i vari legami tra mafia e istituzioni, politiche e religiose, che nel film vennero solo introdotte e sfumate.

In Suburra resta dunque la bellezza della fotografia, le inquadrature magistrali di Sollima, le interpretazioni magnifiche di Favino, come sempre attento ad ogni piccolo particolare della propria mimica fino allo sguardo perso nel vuoto, specchio dell’anima ormai morta del politico. Gli fa da spalla un solido Claudio Amendola, impeccabile nell’interpretare un ex esponente dei NAR, padrone indiscusso della città, che erige, come Carminati, il suo quartier generale in un bar adiacente una piccola stazione di servizio, “ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale”. Altrettanto importanti le interpretazioni di Elio Germano, nel ruolo di un Pr ruffiano e arrivista, e di Alessandro Borghi, calatosi alla perfezione nella parte spietata del capostipite della famiglia Adami di Ostia.

La critica definì il film “un ottimo cinema medio” che rinuncia però alla grandezza, ovvero non alzando mai il livello “dell’arte cinematografica”. Se questa definizione è vera, di contro, Sollima, con Suburra, iniziò un processo di comprensione della società romana, continuata e ancora non terminata con la serie di Placido. È l’identico processo che ha portato la realtà di Scampia alla ribalta dell’attenzione internazionale con Gomorra.

Eppure, il processo per “Mafia Capitale” ha visto più volte la derubricazione dell’accusa di “mafia” agli esponenti coinvolti, una città sfruttata sì dalla criminalità di strada, ma non mafiosa.

Serve allora un’attenta ricostruzione dei fatti, una denuncia sociale che anche il cinema è chiamato ad attuare, con la sua vena artistica e romanzesca, affinché Roma e i romani possano realmente combattere questo lato oscuro e liberarsi dalla schiavitù di vecchie ideologie, quelle che sopravvivono, per alcuni, solo nel cuore come afferma Claudio Amendola nel film, ma per altri ancora vive e fiorenti.

Nel silenzio dell’opinione pubblica si è verificato negli anni uno sdoppiamento della realtà mafiosa in città: da una parte le cosche tradizionali interessate a gestire i loro affari a largo raggio, dall’altra i clan autoctoni, impegnati in esperimenti di controllo territoriale che mostrano il loro volto più cruento.

Una pericolosa commistione definita dalla DIA come un “laboratorio criminale”.

Sollima chiude il film con una speranza: Roma cerca di riprendersi ciò che gli spetta, dopo tanta sofferenza tutti i capi clan muoiono, l’ultimo capitolo, chiamato per l’appunto “apocalisse” è ambientato in un nubifragio, le caditoie stradali si otturano, l’acqua fuoriesce da tutte le parti, purifica la città come nel racconto biblico della Genesi, il diluvio è il castigo che lava i peccati dell’uomo. Solo alcuni si salveranno, Dio non dimentica l’uomo giusto, ma in una città come Roma è possibile restare senza peccato e definirsi “giusti”?

Trama:

Il governo Berlusconi sta per cadere, il papa ha deciso di dimettersi, tutto sembra portare in un vicolo cieco. Eppure, la criminalità non dorme mai, tesse di continuo le sue trame. Dalla comunità Sinti pronta a fare un salto nella mafia di serie A, al politico che cerca di salvare il suo onore e la sua poltrona. Una giovane prostituta finita in un ingranaggio più grande di lei e un giovane Pr che perde tutto quello che ha per l’usura violenta in cui era sprofondato il padre. E poi Ostia, la grande torta dove tutti cercano di mettere le mani, dalle “famiglie del sud” alla nuova criminalità locale. Suburra è prima di tutto una denuncia di quella realtà che per tanti anni i romani hanno fatto finta di non vedere…

Il film è disponibile online sulle maggiori piattaforme di streaming.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Le precedenti puntate della rubrica “Roma vista dal cinema. Un film per la quarantena”

 

Trilogia di Luigi Magni: In nome del Papa Re, Nell’anno del Signore, In nome del Popolo Sovrano

Il marchese del Grillo e Il Conte Tacchia di Mario Monicelli e Sergio Corbucci

Stazione Termini di Vittorio De Sica

To Rome with Love di Woody Allen

Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini

Avanti c’è posto con Aldo Fabrizi

Caterina va in città di Paolo Virzì

Umberto D di Vittorio De Sica

 

 

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