Spieghiamo il bike sharing all’assessore Calabrese

Citare l'introduzione del bike sharing tra i successi dell'amm.ne vuol dire non capire che in realtà a Roma si è fatto solo un enorme favore ai privati

Speravamo di averlo spiegato in maniera chiara e contavamo che in qualche modo l’assessore Calabrese l’avesse letta la nostra spiegazione, ma evidentemente non è così.

Abbiamo infatti letto una recente intervista fatta da La Repubblica al Calabrese e capito che lui non deve aver ancora compreso  cosa sia un vero sistema di bike sharing. Di seguito un passaggio dell’intervista:

 

 

Tralasciamo sia il discorso del rinnovo strutturale della flotta Atac, con l’assessore che si “vende” gli autobus che dovrebbero arrivare in futuro, che il presunto risanamento di Atac, laddove gli obiettivi del concordato sono tutti falliti, che infine la riforma del servizio trasporto disabili, la quale a noi risulta merito essenzialmente del delegato alla disabilità.

 

Il punto che noi troviamo più scorretto è quello relativo all’introduzione del “bike sharing a pedalata assistita”.

Come detto, speravamo che la nostra ultima spiegazione sul bike sharing a Roma fosse arrivata all’assessore e che l’avesse capita ma evidentemente ciò non è successo.

Allora ci riproviamo sperando di essere più chiari.

 

Quello che l’assessore chiama bike sharing a pedalata assistita, introdotto a Roma da Uber nel 2019 e poi rilanciato da Lime quest’anno, per le tariffe che prevede e la ridotta copertura territoriale è in realtà un sistema di noleggio bici.

A prescindere poi dal come lo si voglia chiamare questo servizio, la verità è che la decisione dell’attuale amministrazione di non applicare la riforma degli impianti pubblicitari che prevedeva un sistema di bike sharing tradizionale, ha creato le condizioni ideali per far introdurre a Roma dai privati dei sistemi di sharing estremamente costosi.

A fronte infatti dei 7 euro per una mezzora chiesti da Jump, il sistema introdotto a Roma da Uber e poi passato a Lime, il sistema tradizionale di bike sharing di Milano chiede 25 centesimi!?!

Il principio del bike sharing dovrebbe essere il fornire ai cittadini una modalità di spostamento da abbinare al trasporto pubblico, per coprire il cosiddetto ultimo miglio; deve essere quindi un servizio dal costo nullo o molto contenuto, in modo da poterlo utilizzare quotidianamente o più volte al giorno.

Le tariffe chieste da Jump sono invece troppo esose per un utilizzo quotidiano e quindi utilizzabili solo dai turisti o in maniera estremamente saltuaria dai cittadini romani.

 

Riportiamo di seguito ancora una volta la spiegazione che già avevamo provato a dare del genere di fregatura che è il cosiddetto bike sharing presente a Roma:

 

“Per far capire a tutti, e forse anche all’assessore, che razza di “sòla” sia questa, basta considerare che a Milano la prima mezzora di utilizzo di un mezzo elettrico del BikeMi, il bike sharing vero che lì hanno, costa 25 centesimi, contro i 7 euro del nuovo servizio Lime!?!

Va detto che a Milano per usufruire di quella tariffa occorre abbonarsi ad un costo annuo di €36, ma è questa una modalità assolutamente accettabile per chi volesse utilizzare le bici in sharing per l’ultimo miglio due o tre volte al giorno, mentre col Lime sponsorizzato dal Calabrese o sei ricco di famiglia o te lo sogni.

E come mai a Milano hanno un servizio di bike sharing vero mentre a Roma dopo oltre quattro anni di governo del cambiamento siamo ancora sottoposti alle bizze dei privati che non possono che badare prioritariamente ai loro affari?

È molto semplice e chi segue queste pagine l’ha letto innumerevoli volte: a Roma nel 2014 l’Assemblea Capitolina approvò la riforma degli impianti pubblicitari includendovi la realizzazione di un bike sharing sovvenzionato da una parte dei cartelloni, sul modello dei sistemi utilizzati nelle maggiori città europee (Parigi, Milano, ecc.). Da sottolineare che quella riforma fu votata anche dall’allora consigliera di minoranza Virginia Raggi.

Ebbene appena giunta alla guida del Campidoglio la stessa Virginia Raggi invece che procedere immediatamente all’applicazione della riforma, con benefici per il decoro di Roma, per le casse comunali e finalmente con un vero bike sharing offerto ai romani, l’ha riposta in un cassetto negandola alla città.

 

A voler pensar male ci sarebbe da immaginare che l’amministrazione Raggi l’abbia fatto apposta a non introdurre a Roma il bike sharing pagato dai cartelloni, così da preparare il terreno per lo sbarco degli esosi privati. In realtà, anche in questo caso, deve essersi trattato dell’ennesima decisione di non scontentare una lobby cittadina (quella delle ditte pubblicitarie abituate a fare il proprio comodo con i cartelloni), pur se ciò sta comportando disservizi a tutta la cittadinanza.

 

Anche sull’introduzione dei monopattini elettrici va detta qualche parolina per provare a far capire all’assessore Calabrese che più che farne un vanto è una cosa di cui si dovrebbe vergognare.

I problemi che sta causando la vera e propria invasione di monopattini a Roma sono sotto gli occhi di tutti: tra tutti l’occupazione incontrollata degli spazi con problemi gravi al transito dei disabili su marciapiedi e aree pedonali ed i pericoli causati dalla totale indisciplina degli utilizzatori e dalla mancanza di controlli. L’assessore si è limitato a fare da promotore a questi mezzi, partecipando spesso alle inaugurazioni di ogni nuovo servizio, anche se si tratta di aziende private che legittimamente decidono di fare affari a Roma. Mai che il Calabrese abbia dato a vedere di comprendere i problemi che questi mezzi stanno causando alla città, provando a proporre correttivi per risolverli.

E dire che essendo arrivata buon ultima nell’introduzione di questi mezzi, Roma avrebbe potuto approfittare delle esperienze delle altre città provando ad evitare i problemi che lì si erano evidenziati.

A Parigi ad esempio hanno deciso di limitare la sosta dei monopattini a delle aree appositamente individuate, evitando quindi che essi vengano lasciati dove capita.

A Copenhagen avrebbero addirittura deciso di bandirli dal centro della città, non riuscendo a limitare i problemi che i monopattini creano agli spostamenti soprattutto delle persone più anziane.

A Roma invece un assessore evidentemente inconsapevole del proprio ruolo ed ignorante della materia di cui dovrebbe occuparsi arriva a vantarsi di un servizio che sta causando problemi alla mobilità dei cittadini.

 

Non contiamo più di tanto che questa volta l’assessore Calabrese si renda conto di quanti danni stia causando la sua imperizia ai cittadini romani. Pensiamo però che per quanto possibile sia necessario continuare a rimarcare certe castronerie dette in pubblico affinché solo i più sfegatati sostenitori dell’attuale amministrazione gli diano retta (ché con quelli non c’è proprio nulla da fare).

 

Sarebbe stato bello se l’intervistatrice gliele avesse fatte notare queste cose all’assessore, provando a farlo uscire dalle dichiarazioni di mera propaganda con cui riempie la sua pagina facebook, ma abbiamo imparato che la stampa locale a Roma certe cose non sa proprio farle.

Ed una stampa incapace di sollecitare nel giusto modo il potere politico è parte consistente del pluriennale problema romano.

 

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