Stadio della Roma: l’ipotesi Flaminio è una follia

I nuovi problemi legati a Tor di Valle hanno fatto emergere l'ipotesi. Per Morassut si può fare. Ma significherebbe rinviare l'opera all'anno del mai

 

Virginia Raggi aveva annunciato il suo regalo di Natale ai tifosi romanisti promettendo lo sblocco dei lavori per lo stadio a Tor di Valle entro le feste. E invece, poche ore dopo il suo annuncio è arrivata la doccia gelata: i terreni dove dovrebbe sorgere lo stadio sono sotto pignoramento giudiziario. Se non si risolve la questione, salta tutto.

Per la Sindaca è una tegola pesante. E’ vero che la cifra necessaria a coprire il debito del gruppo che fa capo ai costruttori Parnasi è solo di 1,6 milioni, una cifra non enorme se paragonata al valore del progetto che sfiora il miliardo. Ma è anche vero che questa storia del pignoramento si va ad aggiungere alla lunga sequela di errori e ritardi accumulati negli ultimi quattro anni che hanno visto pure una inchiesta giudiziaria con arresti di spicco, tra i quali il grillino Marcello De Vito e lo stesso costruttore Parnasi.

E’ come se le stelle o il destino, per chi ci crede, stessero dicendo ai romanisti che quello stadio non s’ha da fare. Troppi ostacoli, la mancanza di un vero collegamento su ferro, il ponte sul Tevere senza il quale la zona sarebbe isolata, la cancellazione delle magnifiche torri di Libeskind decisa dalla Raggi in una notte, dopo anni di lavoro e studio. Purtroppo quando si agisce con superficialità e approssimazione, come ha fatto l’amministrazione a 5Stelle,  i risultati non possono che essere questi.

 

Si riaffacciano così le ipotesi alternative. Oltre a Fiumicino di cui avevamo parlato tra i primi e che sarebbe uno smacco per il Campidoglio che si vedrebbe sfilare sotto il naso tanti milioni di investimento, si parla molto in queste ore dello Stadio Flaminio. A dare peso all’ipotesi di trasformazione dell’opera di Nervi in una nuova arena giallorossa, sono state le parole del sottosegretario all’Ambiente, Roberto Morassut. Intervenendo in una trasmissione di Radio Centro Suono, l’esponente Pd ha parlato di una “forte regia pubblica per il Flaminio e l’Olimpico” che potrebbero diventare due nuovi stadi da 50/60 mila posti ciascuno. Le somme necessarie, secondo Morassut, sarebbero meno ingenti rispetto a Tor di Valle, perché basterebbero 300 milioni.

Ma in queste parole, di colui che è stato a lungo assessore all’urbanistica del Comune di Roma, si legge una imbarazzante leggerezza se non addirittura malafede. Immaginare, infatti, che lo Stato o il Comune di Roma in piena crisi finanziaria provocata dal Covid, possano stanziare cifre così ingenti è una pura follia. Né si pensi che la nuova proprietà della A. S. Roma possa mettere mano al portafoglio e investire su uno stadio che non darebbe alcun ritorno economico. E’ chiaro, infatti, che l’operazione Tor di Valle si regge sulla lottizzazione dell’area e sul cosiddetto business park, non certo sul rientro economico delle partite di calcio. Al Flaminio tutto questo non ci sarebbe e anzi il quartiere, così centrale e intasato, non potrebbe ospitare eventi sportivi di grande portata. Mancano gli spazi fisici, i trasporti (la metro C dovrebbe arrivare in quella zona ma non prima dei prossimi 20 anni).

E poi c’è il vincolo architettonico sulla struttura di Pierluigi Nervi, c’è un’area archeologica ricchissima nel sottosuolo oltre a mille altri problemi.

La scelta del Flaminio sarebbe anche in contrasto con le tendenze urbanistiche mondiali che scelgono di collocare gli stadi fuori città, proprio per evitare la congestione tipica dei grandi eventi. Parlare di questa ipotesi significa gettare a mare ben 9 anni di lavoro per Tor di Valle e ricominciare da capo con un iter e una progettazione lunghissimi che probabilmente si concluderebbero in un nuovo nulla di fatto.

Quello che una sana amministrazione dovrebbe fare è lavorare a testa bassa per capire come far procedere Tor di Valle (che lo ricordiamo ha ottenuto il via libera dei tecnici comunali lo scorso 7 luglio) e come colmare la lacuna dei servizi che è stata provocata dalla giunta Raggi.

La scelta insensata di questa amministrazione è stata quella di cancellare i tre grattacieli firmati da una archistar di fama mondiale e di conseguenza far venir meno tutte le opere pubbliche che sarebbero state pagate dal privato: il ponte di Traiano, i collegamenti ferroviari e le urbanizzazioni. Il vero problema è la spaccatura interna ai 5Stelle: alcuni non hanno mai digerito questo progetto tanto che appoggiarono con forza l’assessore Berdini quando volle stralciarlo. Altri invece erano e sono ancora oggi favorevoli, sebbene gli scandali che hanno visto coinvolto il Movimento non solo con l’arresto di Marcello De Vito ma anche con l’inchiesta su Luca Lanzalone, abbiano lasciato una ferita aperta.

Cancellare tutto con un colpo di spugna e ricominciare da capo su ipotesi velleitarie come il Flaminio è una vera sconfitta. La Raggi ci ha abituato a queste “débacle” politiche ma far venire meno l’unico grande progetto dei prossimi anni sarebbe un colpo allo sviluppo di Roma.

 

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