Salvare Forte Bravetta, significa salvare la memoria di fatti atroci della nostra storia recente

L'edificio in rovina diventerà un presidio culturale. Campidoglio e Agenzia del Demanio hanno già firmato ma i tempi sono lunghi. La vicenda di Don Morosini

 

Quanto sangue è stato versato all’interno di queste mura. Il Forte Bravetta era, alla fine degli anni ’40, un luogo di morte. Qui vennero fucilate oltre 100 persone, colpevoli di opporsi all’occupazione tedesca e di essere antifasciste. Tra loro Don Giuseppe Morosini, portato al Forte la mattina del 3 aprile 1944.

Don Giuseppe era membro della Resistenza, era stato detenuto a Regina Coeli in condizioni molto dure perché parlasse e svelasse i nomi di altri esponenti antifascisti. Il sacerdote non solo non riferì alcun nome, ma anzi si addossò colpe non sue, fingendo di essere uno dei capi del movimento. Il Tribunale tedesco lo condannò a morte e ne ordinò la fucilazione.

Quella mattina del 1944, il plotone di esecuzione era composto da dodici militari della Polizia dell’Africa Italiana. Quando fu ordinato loro di sparare contro Don Giuseppe esitarono. L’ufficiale ribadì di aprire il fuoco e dieci soldati spararono in aria mentre solo due colpirono, volutamente di striscio, il sacerdote. L’ufficiale al comando dovette prendere la sua pistola di ordinanza e terminare l’esecuzione con due colpi esplosi alla nuca di Don Giuseppe.

La tragica vicenda venne ricostruita da Roberto Rossellini nel film “Roma Città Aperta”. Aldo Fabrizi interpretava un prete che riassumeva le figure di due importanti sacerdoti antifascisti, Don Pietro Pappagallo e appunto Don Giuseppe Morosini.

Il Forte è rimasto per sempre uno dei simboli della Resistenza romana: tra l’8 settembre del 1943 e il 4 giugno del 1944 qui vennero uccise decine di persone. La parte bassa del giardino oggi è titolata proprio ai Martiri. Appena varcato il cancello, subito si nota una lapide commemorativa con i nomi di molti caduti.

 

Quest’area fu rinnovata ad aprile 2020, mentre tutti eravamo chiusi nelle nostre case per il primo lockdown. L’allora Sindaca Raggi parlò di totale riqualificazione del parco ma la parte superiore del Forte resta in pessime condizioni. Alcune settimane fa avevamo dato la notizia del futuro abbattimento del Residence Bravetta, distante poche centinaia di metri da qui. Il Sindaco Gualtieri e l’assessore Veloccia avevano comunicato futuri interventi anche sulla vecchia struttura militare.

L’obiettivo del protocollo firmato tra Campidoglio e Agenzia del Demanio è destinare il Forte a progetti culturali, con laboratori d’arte, musica e cinema. La proprietà, oggi del Demanio, dovrà passare al Comune e a quel punto si potrà indire un bando e dare il via ai lavori.

Il percorso è ancora lungo ma sembra essere avviato. D’altronde la capitale è circondata da una cinta di Forti che furono costruiti alla fine del 19° secolo dallo Stato per difendere la città dall’assalto di truppe papaline che volessero riprenderne il controllo. Alcuni sono ancora operativi, altri versano in condizioni di degrado.

Dei 15 Fortini militari, Bravetta è forse nel luogo naturalisticamente più pregiato. Incastonato nella Valle dei Casali, è a poca distanza da Villa York e dalla villa romana di Fabio Pollione.

Una bella ricostruzione radiofonica sulla storia di questo edificio è stata realizzata da Marco Silvestri, per Radio Rai, che ha raccolto testimonianze di Paola Cossu che sentiva i colpi di fucile dalla sua camera di letto e di Mimmo Franzinelli che racconta la vicenda di Laura D’Oriano, unica donna condannata e fucilata nell’Italia moderna.

Questo luogo della memoria merita di essere conservato e valorizzato. La sua rovina rischia di diventare oblio su un pezzo di storia che tutti dobbiamo ricordare.

 


Per le precedenti puntate di Città in rovina, clicca qui

 

 

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