Riforma dei cartelloni: in arrivo nuovi ricorsi dalle ditte

cartelloni retro

 

Il prossimo 15 novembre, secondo quanto ha stabilito una delibera del consiglio comunale, si dovrebbe concludere l’iter dei Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari. Si tratta dei piani particolareggiati che stabiliscono dove andranno installati i cartelloni pubblicitari una volta che la riforma sarà entrata a regime.  Questa data è stata stabilita dal Campidoglio per permettere a tutti i Municipi di esprimere un parere sui piani e agli uffici di “controdedurre” cioè di recepire o meno eventuali osservazioni.

Non è ancora la fine del procedimento iniziato diversi anni fa (il nuovo Piano Regolatore lo ricordiamo fu approvato nel luglio del 2014), ma sicuramente è un passo avanti. Il primo da quando al governo è arrivata la maggioranza a 5stelle che fino al luglio scorso aveva del tutto trascurato la questione.

Mentre a piccoli passi ci avviciniamo alla fine del tunnel, arriva un nuovo ricorso, l’ennesimo. Si tratta del 57° dal 2014 avanzato dalle ditte pubblicitarie. L’Irpa, una delle associazioni di categoria, sta raccogliendo le adesioni tra i propri associati per impugnare la delibera 38 del 2017, quella appunto che stabilisce al 15 novembre il termine per l’approvazione dei piani di localizzazione.

Ovviamente secondo il nostro ordinamento chiunque si ritenga leso in un proprio diritto può ricorrere al giudice. E dunque nessuna censura da parte nostra dal punto di vista della legittimazione dell’Irpa a rivolgersi al Tar. Ma il commento che si può fare è più di natura politica se ci consentite il termine.

Nel momento in cui si decide di impugnare ogni atto, ogni provvedimento relativo alla riforma dal 2014 ad oggi, non si può non pensare che tale atteggiamento sia strumentale. Sia, cioè, teso non tanto a vedere riconosciuto un proprio diritto o la legittimità di una delibera, quanto a boicottare in tutti i modi una riforma che si ritiene possa uccidere le imprese operanti nel settore. Il legale dell’Irpa sostiene che agli attuali concessionari saranno riservati pochissimi impianti e per di più posizionati in strade del tutto secondarie che non avranno alcuna appetibilità commerciale. Ma le cose non stanno così: lo spiega bene l’architetto Bosi nel suo articolo pubblicato ieri sul sito romano di Vas nel quale dimostra che alle attuali imprese o anche a nuove aziende che vorranno partecipare ai bandi di gara sarà destinato il 58% del totale dei futuri impianti. E di questo 58%, solo il 6% potrà essere installato in strade secondarie. Mentre per tutti gli altri cartelloni saranno valide le posizioni attuali.

Insomma sembra si tratti di un allarmismo dettato più dalla volontà di rallentare l’iter che di ragionare seriamente sui problemi.

Bike sharing: altra questione sollevata dal legale dell’Irpa riguarda il servizio di bike sharing che – come sapete – verrà finanziato da una quota di cartelloni (il 18,3% del totale degli impianti sarà assegnato in esclusiva tramite gara ad una o due ditte che in cambio offriranno le biciclette condivise e le toilette pubbliche). Il timore degli attuali concessionari riuniti nell’associazione Irpa è che chi si aggiudicherà la gara per bike sharing e toilette non dovrà pagare al Comune la tassa che tutti gli altri invece pagheranno (CIP – Canone di Iniziative Pubblicitarie). Anche in questo caso si tratta di un timore infondato perché è stato chiarito in più occasioni che chi offrirà un servizio dovrà pagare un canone al comune. Nessun minore introito per il Campidoglio, dunque, e nessuna disparità di trattamento tra le imprese concessionarie.

Più interessanti sono invece le osservazioni relative al bike sharing a flusso libero. Ne abbiamo parlato alcune settimane fa: grazie alle nuove tecnologie, le biciclette potranno essere utilizzate e rilasciate tramite una app, senza doverle necessariamente riporre in apposite stazioni come avviene oggi. Abbiamo visto che il fenomeno ha creato non pochi problemi ad Amsterdam, Shangai e Pechino dove addirittura è stato bloccato il servizio. Troppa gente, infatti, lascia le biciclette ovunque, senza regole creando degrado e disagi. Guardate a Milano, dove il bike sharing a flusso libero è stato avviato da poco, cosa è capitato in questi ultimi giorni: biciclette sugli alberi o nelle fontane.

bici a flusso libero

bici a flusso libero2
foto Repubblica.it

 

Ecco perché le associazioni Vas e Bastacartelloni propongono un sistema diverso di flusso libero. In sostanza si tratta di predisporre dei parcheggi, diffusi capillarmente, dove i cittadini potranno lasciare le biciclette e poi riprenderle. Per incentivare il cittadino a lasciarle nel parcheggio e non in mezzo alla strada, si potrebbe prevedere uno sconto sul costo del noleggio per chi la ripone in una determinata area. In questo modo si potrebbe arginare il fenomeno del parcheggio selvaggio delle biciclette.

Forse più che continui ricorsi, da parte delle ditte serie del settore ci aspetteremmo proposte su questi temi. Se le nostre non sono valide ci si potrebbe confrontare su altre idee. Ma provare a fermare il progresso con i ricorsi al Tar è come svuotare il mare col cucchiaino.

 

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Contro la malamovida invece ci si affida all’amico Frank.

Considerato che la Polizia Locale risponde direttamente ed esclusivamente al sindaco, non c’è da stupirsi se a Roma il corpo è praticamente inesistente.
D’altronde chi dovrebbe dargli le direttive (@gualtierieurope) non ha neanche chiari i compiti degli agenti.

Non siamo sicuri che @MercurioPsi non abbia doti divinatorie, ma se già a gennaio aveva ipotizzato la chiusura totale delle due l’una: o in #ATAC non hanno il controllo di quello che fanno, oppure tengono all’oscuro fino all’ultimo gli utenti dei loro piani.
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