Qualcuno che voglia occuparsi del commercio a Roma?

Con un'amm.ne che sa solo aprire la ZTL per i ristoranti o condannare le violenze della movida, offriamo al dibattito pubblico e ai candidati sindaco alcuni spunti per riformare il commercio a Roma

Da cinque anni in Campidoglio il commercio romano è supervisionato dal consigliere, nonché ex-presidente, nonché attuale assessore proprio al commercio, Andrea Coia.

La giunta Raggi iniziò nel 2016 con l’assessore Adriano Meloni, ma evidentemente la persona aveva troppe capacità e visione per la maggioranza M5S in Campidoglio e quindi agli inizi del 2018 Meloni fu costretto alle dimissioni. Per capire la differenza tra le due linee, quella Coia e quella Meloni, quest’ultimo fin dall’inizio del suo mandato aveva colto le potenzialità della normativa Bolkestein per riorganizzare in meglio il commercio ambulante romano. Il Coia al contrario al tempo girava con le magliette no-Bolkestein e contribuiva con una sua pessima delibera a congelare lo sconcio delle bancarelle a Roma. Solo recentemente Andrea Coia ha scoperto la bontà della Bolkestein e ne magnifica gli effetti con un’inversione a 180° degna della peggiore delle banderuole.

 

In occasione della pandemia l’assessore Coia non ha saputo far altro che ubbidire alle richieste degli esercenti della somministrazione, decretando il far west nelle occupazioni di suolo pubblico ed ignorando tutto il resto del commercio romano. Canoni OSP azzerati fino a fine 2021, con mancati introiti per molte decine di milioni per le casse capitoline, e niente di niente per tutto il resto del commercio.

L’ultimo provvedimento preso dalla giunta, con sommo godimento del solito assessore, è l’ennesimo via libera al traffico dentro le ZTL, ecchissenefrega se i veicoli verranno parcheggiati ancor di più un po’ ovunque, spesso creando problemi di sicurezza di cui Coia & Co. si renderanno conto solo quando ci scapperà il morto.

 

 

Ecchissenefrega anche del fatto che continuando ad assembrare sempre più persone, sempre negli stessi luoghi, si creano situazioni ingestibili e potenzialmente pericolose per tutti. Ha voglia la sindaca a sproloquiare “Roma non tollera nessuna violenza”, se poi è l’incapacità sua e della sua giunta a moltiplicare situazioni in cui possono svilupparsi atti di violenza.

 

 

 

Con un’assessore che si dice “… particolarmente soddisfatto …” dell’ennesimo nulla prodotto, ed una sindaca che sa solo condannare a parole senza saper fare nulla, vogliamo condividere un contributo inviatoci sul tema del commercio a Roma. Si tratta di alcuni spunti su cosa si potrebbe fare per cogliere l’occasione della pandemia e provare a governare il commercio cittadino affinché si sviluppi in maniera più equilibrata, a vantaggio del commercio stesso e della città tutta.

 

 

Prospettive per un ripensamento del ruolo delle attività di somministrazione di alimenti e bevande in periodo post-Covid

Sarà capitato a molti attraversando la città di notare tante attività commerciali che hanno abbassato le serrande alcune provvisoriamente altre, tante, in modo definitivo. La crisi pandemica ha colpito tantissime attività legate a tanti settori merceologici diversi anche se la percezione che abbiamo è che lo abbia fatto soprattutto per quelle legate al settore della ristorazione perché hanno avuto la capacità di farsi sentire maggiormente attraverso i canali di informazione. In realtà se guardiamo bene silenziosamente stanno sparendo dal panorama commerciale della città tante attività artigianali e del piccolo commercio di vicinato soprattutto a conduzione familiare. Sarebbe necessario ed opportuno cominciare a domandarci quale futuro potrà avere il tessuto commerciale della città quando riusciremo ad uscire da questa lunga crisi sanitaria e quali idee iniziare a progettare per dare alla città strumenti in grado di saper cogliere le nuove opportunità che il post pandemia saprà offrire per gestire un turismo prevalentemente a consumo interno, meno impattante ed orientato ad un rispetto della città, del suo patrimonio e dei suoi cittadini, equilibrato e sostenibile.

La città non ha vissuto l’impatto della pandemia nello stesso modo: nelle zone centrali e semi centrali ha sicuramente avuto un impatto diverso rispetto alle zone periferiche.

Abbiamo di fronte delle sfide enormi e tra queste c’è la gestione dei fondi del recovery plan e la riorganizzazione di tutto il comparto pubblico con l’estensione dell’attività in smart working che per una città dove la massa di lavoratori impegnati nel settore pubblico è consistente avrà sicuramente ricadute importanti.

Da molte parti, quasi tutte le forze politiche ma anche sociologi e analisti politici, in questo ultimo anno si sono lanciati a dire che dopo questa pandemia tutto sarebbe cambiato e che nulla sarebbe stato come prima sia in ambito personale che in quello collettivo con modificazioni finanche delle nostre abitudini personali.

Adesso, come molti affermano, che si vede la luce in fondo a questo tunnel pandemico sarebbe, forse, il momento per iniziare ad immaginarci come vorremmo che fosse la nostra città nel prossimo futuro anche in vista delle prossime elezioni amministrative per la guida del Campidoglio.

 

Preso atto che la fisionomia della nostra città è cambiata e ancora cambierà prima che si inverta la rotta economica nel paese proviamo ad avanzare qualche ipotesi e suggerimento.

Come cambierà il turismo ed il commercio a Roma nei prossimi anni? Pensiamo che ci sarà ancora un turismo di massa mordi e fuggi o vogliamo che la nostra città sia in grado di offrire qualcosa di meglio di questo modello che negli ultimi anni, al di là dei meri dati numerici sui milioni di visitatori presenti, ha aumentato il degrado dei luoghi migliori?

 

Pensiamo veramente che l’unico modello di svago sia quello della movida e dello sballo?

Non è difficile immaginare che quando la pandemia sarà passata e si tornerà ad uno stile di vita normale chi avrà risorse economiche disponibili tornerà ad investire in quei settori che potranno garantire margini di guadagno considerevoli. I settori più interessanti a questo riguardo sono gli stessi sui quali si sono concentrati gli interessi anche negli ultimi anni: le attività di ristorazione e quelle legate all’accoglienza turistica.

E, purtroppo, tra chi vorrà intraprendere una nuova attività imprenditoriale ci sarà, come la storia recente insegna, anche chi lo farà investendo soldi provenienti da attività illecite.

 

Un’amministrazione che abbia uno sguardo lungo sulla sorte di una città dovrebbe iniziare a programmare adesso gli interventi per avviare un percorso di ripensamento del proprio tessuto socio-produttivo post pandemia che sappia coniugare gli interessi di sviluppo con quelli della residenzialità, della mobilità e della tutela del patrimonio artistico culturale.

Servirebbe un piano di interventi non solo di sostegno ma di sviluppo che tenga conto della natura dei territori che compongono la città di Roma e delle caratteristiche che ognuno di questi ha esaltandone le vocazioni e prefigurandone uno sviluppo equilibrato. Occorrono forme di intervento diversificate per il Centro storico, per le zone semicentrali e per le periferie.

Dovranno essere previsti interventi sistematici per il settore del commercio in sede fissa che mettano in campo leve di natura diverse. Ecco alcuni esempi.

 

  • Sostegno all’apertura di nuove attività in Centro Storico (artigianato e attività di vicinato)

Uno degli aspetti più problematici della gestione di una attività commerciale e artigianale riguarda il costo da sostenere per l’affitto dei locali con quote proibitive nel Centro Storico.

L’immenso patrimonio pubblico commerciale e residenziale potrebbe rappresentare uno strumento da un lato per calmierare gli affitti e dall’altro per offrire possibilità lavorative ed imprenditoriali a categorie che non sarebbero in grado di competere in una logica di libero mercato. Le ex caserme ormai inutilizzate potrebbero divenire, oltre a luoghi di aggregazione socio-culturale, anche incubatori di imprese artigianali o scuole di formazione professionale e di apprendistato. Stesso discorso può essere fatto per le singole unità immobiliari commerciali da destinare alla reimmissione o al sostegno di imprese artigianali nel centro storico o per attività di commercio di vicinato ormai scomparse o quasi, che hanno una sostenibilità economica e di mercato. Aperture, infine, anche di spazi da destinare all’attività di smart working o di FabLab.

Forme di sostegno limitate nel tempo alle start-up per 2-5 anni, integrative per il pagamento delle spese vive di gestione come il canone di locazione o riduzione/esenzione dei tributi locali (IMU, TARI, ecc.) destinate alle attività artigianale non alimentari e del commercio di vicinato.

 

  • Sostegno al trasferimento di attività dal Centro Storico alla periferia

Analizzando i dati sulla presenza delle attività nell’intera città di Roma si nota come ci sia una forte concentrazione delle attività di somministrazione e di artigianato alimentare nel Centro Storico. Si nota, inoltre, un forte squilibrio anche all’interno delle stesse zone semi centrali e fra quelle periferiche.

Negli anni si sono create zone della città a forte presenza di questo tipo di attività che hanno finito per caratterizzarle, appunto, come le zone della movida, dello svago e dei pub crowl. Ciò comporta pesanti ricadute in termini di salute sia nei fruitori di queste attività che nei residenti che hanno vissuto un’invasione dei loro territori e visto scomparire tante attività commerciali e artigianali sostituite da quelle legate al consumo di cibi e bevande. Un altro fenomeno è la fuga di molti residenti che hanno preferito trasferirsi e trasformare i loro appartamenti in attività ricettive, con ulteriori forme di distruzione del tessuto storico commerciale.

Sarebbe opportuno creare una fonte di finanziamento per il trasferimento di quelle attività di somministrazione o di artigianato alimentare che scelgono di optare per una rilocalizzazione in un ambito territoriale diverso dal Centro Storico, incentivandole con forme di sostegno economico o di sgravio delle tariffe locali.

 

  • Piani di Massima Occupabilità (PMO) (restituzione facoltà ai Municipi e ampliamento elenco strade)

 Dopo la sconsiderata ed inopportuna – perché di fatto non ha prodotto alcun risultato – scelta di sottrarre ai Municipi la facoltà di redigere Piani di Massima Occupabilità (PMO), tale facoltà andrà restituita alle strutture decentrate del territorio, ossia ai Municipi.

I Municipi dovranno quindi poter scegliere di individuare nel proprio territorio quelle strade dove pianificare la presenza e la sua quantità di occupazioni del suolo pubblico (OSP).

Alla fine di questa devastante pandemia c’è da supporre che molte attività non riapriranno e, quindi, i Municipi potranno intervenire individuando le strade da inserire nel proprio PMO laddove ritengano necessario “alleggerirvi” la concentrazione delle OSP, al fine di rendere i territori più sostenibili e vivibili.

Pensiamo a zone come Trastevere, Testaccio, Pigneto, Campo de Fiori, Piazza Bologna, Monti, San Lorenzo, ecc., tra quelle maggiormente interessate al fenomeno. Ogni Municipio ha le sue zone “calde” dove poter intervenire per limitare la proliferazione di tavolini e sedie. A tutto questo deve essere affiancata una revisione dell’attuale normativa del settore delle attività di somministrazione di alimenti e bevande che vada nella stessa direzione.

 

  • Individuazione ed applicazione di criteri più stringenti (Regolamento SIAN, Regolamento per la tutela del Centro Storico, ecc.) per apertura nuove attività di somministrazione e artigianato alimentare in Centro Storico

L’attuale normativa nella sua applicazione ha un importante freno all’ulteriore massiccia proliferazione di attività di somministrazione ma ha anche dimostrato che può essere aggirata facilmente soprattutto da parte delle attività artigianali alimentari (gelaterie, kebab, ecc.).

La divisione in ambiti territoriali necessita un ripensamento alla luce delle mutazioni avvenute nel corso degli anni e di alcune correzioni per errori materiali sulla definizione dei confini tra i vari ambiti.

Probabilmente la norma comunale deve essere rigorosamente incrociata con il Regolamento sull’igiene degli alimenti (SIAN) sul rispetto del rapporto fra superficie

dello spazio cucina ed il numero dei coperti (comprensivi di quelli destinati agli spazi esterni delle osp).

 

L’occasione che questa situazione pandemica ci mette difronte è quella di un ripensamento dell’assetto e delle funzioni presenti nella città.

Un processo complesso che può mettere in moto una partita che vedrebbe coinvolta tutta la città ed in primo luogo le realtà associative che capillarmente e quotidianamente operano sul territorio. Una sfida soprattutto per la classe politica che vorrà amministrare in futuro la città.

 

 

Noi pensiamo che questo sia il genere di ragionamenti che un governo cittadino dovrebbe fare per governare i fenomeni e non subirli passivamente.

Con un’amministrazione M5S che ha dimostrato di essere incapace anche solo di abbozzare pensieri del genere, l’aspettativa è che prima o poi questi temi entreranno nella campagna elettorale.

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