Levare i bagnini dalle spiagge potrebbe causare decine di vittime

Il Campidoglio li lascia solo nel fine settimana ma nel resto del mondo si fa il contrario. Tutti i dati sugli annegamenti dal 1969 ad oggi

 

Ci tocca impugnare la penna rossa con i giornalisti delle cronache romane e non è un ruolo che ci piace granché. Eppure sembra che i lettori abbiano fatto l’abitudine alle notizie imprecise pubblicate dalla grande stampa, forse perché le fonti di informazione sono sempre più numerose e tutti possono rivolgersi altrove alla ricerca della verità.

Ad ogni modo, lunedì scorso ce la siamo presi con il Messaggero che con un atto di profonda scorrettezza professionale si è impossessato di una notizia di diarioromano e l’ha riportata come se fosse propria, pure in maniera sbagliata. Oggi è la volta di Repubblica che il 19 agosto pensa di fare uno scoop raccontando che la sindaca Raggi ha deciso di levare i bagnini dalle spiagge di Ostia a partire dal primo settembre.

 

In realtà la decisione di impiegare i bagnini nel solo fine settimana nei mesi di giugno e settembre è vecchia e risale all’inizio della stagione balneare. Veniva riportata da diversi quotidiani già a maggio. L’amministrazione comunale ha deciso che le spiagge del litorale devono essere vigilate tutti i giorni solo a luglio e agosto, mentre a giugno e settembre i bagnini saranno presenti il sabato e la domenica.

Né si tratta di una novità di quest’anno dato che anche nell’estate del 2020 i turni erano stati gli stessi. La scelta del Campidoglio è certamente discutibile in quanto il mare di Ostia è particolarmente infido e fa registrare molti incidenti da sempre. Per questo l’associazione dei bagnini Anab ha inviato una lettera alla Sindaca chiedendo di rimodulare le presenze degli assistenti alla balneazione.

Nella gran parte delle spiagge pubbliche italiane ed europee, in effetti, i bagnini sono presenza fissa in estate non solo nel week end ed è proprio questo elemento, unito alla disponibilità di defibrillatori e strumenti di primo soccorso, ad aver diminuito notevolmente la mortalità in mare negli ultimi 20 anni. 

L’Istituto Superiore di Sanità da tempo analizza la mortalità per annegamento in Italia, una delle tragedie più diffuse nel periodo estivo. Interessante notare come il trend sia in calo costante dal 2000 in poi, quando a livello nazionale si comprese l’importanza di una vigilanza assidua del mare. Basti pensare che nel periodo compreso tra il 1969 e il 1998, nel nostro Paese morirono annegate 24.496 persone¹. Nel ventennio successivo il dato è fortunatamente calato del 77%  e oggi si attesta ad un numero minore sebbene ancora molto elevato. Sempre l’ISS calcola una media di 400 morti l’anno (erano quasi 1.300 fino al 1998)².

L’annegamento in mare è la terza causa di morte sotto i 15 anni di età!

Ci sono poi i cosiddetti semi-annegamenti, cioè casi in cui il soggetto viene ricoverato in ospedale e a volte riporta conseguenze gravi: si tratta di 7,4 casi per milione di abitanti, con un picco tra i minori di 14 anni².

Gli Stati Uniti hanno fatto scuola in questo campo e hanno introdotto già dagli anni ’80 i controlli su tutte le spiagge pubbliche. Ricorderete il celebre telefilm Baywatch che raccontava le imprese di un gruppo di bagnini californiani. Ebbene, da quando i soccorsi sono più capillari e tempestivi, negli USA su 8 eventi solo 1 ha esito mortale. In Italia, invece, su 8 eventi ben 4 provocano la morte.

Dunque, tutti gli studi sono concordi nel ritenere che le scarse o le inadeguate attrezzature di salvataggio e di soccorso siano tra le ragioni principali dell’alto tasso di mortalità sulle spiagge. Il Lazio è tra le regioni dove si muore di più, preceduta da Emilia Romagna, Toscana, Sardegna e Liguria.

Secondo i dati della Società Nazionale di Salvamento, la presenza di un servizio di salvataggio fisso nelle aree costiere serve a scongiurare 300 annegamenti l’anno, tanto è vero che la gran parte delle morti avviene su spiagge libere o non sorvegliate, mentre sulle spiagge private, dove è garantita l’assistenza di un bagnino, i dati sono 10 volte inferiori.

Se volete un quadro dettagliato degli incidenti di spiaggia, oltre ai report dell’ISS che abbiamo indicato in nota, potete cliccare sul blog di Davide Gaeta, la pagina più seguita in Italia sugli aspetti tecnici del soccorso acquatico.

Tracciato questo quadro, non certo confortante, capirete che il titolo di Repubblica “Divieto di annegare” appare quanto meno superficiale se non offensivo dell’intelligenza. Dalla grande stampa ci si aspetterebbe una ricerca più approfondita che possa servire da stimolo alla politica. Purtroppo negli ultimi anni i giornali sono diventati la grancassa della politica e se questa non passa loro le notizie, diventa difficile trovarle in autonomia.

Lo scopo del nostro piccolo articolo non è certo tirare le orecchie ai colleghi giornalisti (non potremmo neanche permettercelo) ma quello di dimostrare con dati inconfutabili che la scelta del Campidoglio di risparmiare poche decine di migliaia di euro levando la vigilanza dalle spiagge nei giorni infrasettimanali, può costare la vita ad alcune decine di persone. Perché i dati vanno guardati sempre, in tutti i campi, e non solo ossessivamente sul Covid.


 

¹La mortalità per annegamento in Italia – Giustini, Taggi e Funari in BEN Bollettino Epidemiologico Nazionale (agosto 2002)

²Annegamenti in Italia: epidemiologia e strategia di prevenzione – Rapporti Ist. Sup. Sanità 11/13

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Contro la malamovida invece ci si affida all’amico Frank.

Considerato che la Polizia Locale risponde direttamente ed esclusivamente al sindaco, non c’è da stupirsi se a Roma il corpo è praticamente inesistente.
D’altronde chi dovrebbe dargli le direttive (@gualtierieurope) non ha neanche chiari i compiti degli agenti.

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