Via Veneto dorme. Tornerà mai la “Dolce Vita”?

Lo sbarco di due importanti catene di ristorazione non è sufficiente. Gli alberghi sono in crisi e la strada non ha più appeal. La delusione dei turisti americani

In ogni grande città c’è una strada simbolo dove il visitatore non può esimersi dall’andare almeno una volta. La Fifth Avenue a New York, gli Champs-Elysées a Parigi, la Prospettiva Nevski a San Pietroburgo, Unter den Linden a Berlino, Ocean Drive a Miami, Andrassi Ut a Budapest e l’elenco potrebbe continuare.

Nell’immaginario dei turisti americani, ma non solo, la strada simbolo di Roma dovrebbe essere via Veneto, lanciata internazionalmente da Fellini è un “brand”, come si dice oggi. Da sola dovrebbe costituire una meta di viaggio, un sogno soggiornarvi, un “must” passeggiarvi.

Ma dei locali storici con atmosfere anni ’60, di bar lussuosi e negozi alla moda non c’è più traccia. Il luogo della Dolce Vita si è trasformato nella dolce morte con edifici chiusi, vetrine malmesse e alberghi falliti. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il Majestic che ha licenziato 47 dipendenti e sbarrato le porte. La pandemia (meglio dire la gestione della pandemia) è stata solo l’ultima goccia di un vaso che già traboccava abbandono e mancanza di visione.

Un gruppo di americani, innamorati della Toscana e frequentatori del nostro Paese, ci ha manifestato la profonda delusione dopo una passeggiata in via Veneto. Avevano ancora in mente le foto dei caffè con i romani intenti a sorseggiare uno spumante, i grandi divi di Hollywood uscire dagli hotel 5stelle seguiti, magari, da qualche “paparazzo” con la macchina fotografica al collo.

 

Una scena de La Dolce Vita (foto cinematographe.it)

 

Niente di tutto questo esiste più da anni e i maldestri tentativi di rianimare il Caffé de Paris sono naufragati sotto inchieste giudiziarie a carico di imprenditori poco trasparenti. L’edificio che lo ospitava è in condizioni fatiscenti.

 

Le grandi boutique hanno lasciato posto a negozi cinesi e il buon cibo è ormai un ricordo lontano.

 

Un segnale di cambiamento arriverà nelle prossime settimane. Stanno, infatti, per aprire su via Veneto due ristoranti che faranno parlare soprattutto per la fama dei loro patron. Il primo ad avviare le cucine sarà ‘Crazy Pizza’ di Flavio Briatore, forte del successo ottenuto con menu analoghi in Sardegna. Niente pizza al taglio o tovaglie di carta, ma ambiente raffinato, servizio impeccabile e ingredienti del territorio. Almeno questa è la promessa dell’imprenditore che non si ferma qui ma vorrebbe inaugurare una sede secondaria del suo locale notturno Twiga sulla terrazza dell’Hotel Bernini.

A seguire, Robert De Niro sta concludendo un accordo con il Grand Hotel via Veneto per insediare al piano terreno un ristorante fusion che avrà come riferimento lo chef stellato Nobu Matsuhisa, noto in Italia per aver aperto a Milano un luogo di successo ospitato in una struttura arredata e progettata da Armani. Si tratta di una catena ormai celebre per il lusso e la qualità nata nel lontano 1988 quando il grande attore rimase folgorato da un merluzzo nero preparato da Nobu. Iniziò un sodalizio che li portò ad aprire ristoranti a Londra, New York, Milano e numerosi hotel a Miami, Malibu, Barcellona e Chigago.

Se imprenditori dal fiuto per gli affari come Briatore e De Niro scommettono su via Veneto, può voler dire che la strada ha ancora possibilità di rinascere. Ma non è detto. Non basta la buona volontà di alcuni, né investimenti economici importanti per un paio di strutture ricettive, se il Comune e gli altri proprietari non si impegnano altrettanto.

La città è spesso ostaggio di una movida poco conciliabile con le esigenze dei residenti mentre manca totalmente una strada centrale con luoghi di qualità, capaci di attrarre una clientela internazionale, che ha una capacità di spesa più elevata. Segnali su via Veneto ce ne sono e non solo da Briatore e De Niro. L’ex hotel Ambasciatori entrerà a far parte della catena Intercontinental, l’ex sede della Banca Nazionale del Lavoro ospiterà un cinque stelle lusso, mentre storici marchi come Harry’s Bar resistono alla tempesta. Ma il commercio non sopravvive: dei sette negozi di scarpe oggi non ne resta uno e le saracinesche abbassate sono quasi 20.

La scommessa si potrà vincere nel 2022: se in autunno, alla ripresa dei contagi, si ricomincerà con la politica del terrore e delle chiusure non solo via Veneto, ma tante altre realtà romane non rialzeranno più la testa. Se invece si riuscirà a seguire l’esempio di tanti altri paesi che hanno compreso come si può convivere col virus, qualche speranza di sanare le vecchie cicatrici e riportare energia arriverà anche nella strada della Dolce Vita.

 

 

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Una risposta

  1. Se non riparte il turismo Via Veneto non riparte, negli anni 80 la strada per i Romani era solo salire e scendere tutta la via in auto, chi ha portato alla notorietà Via Veneto non è stato solo la Dolce Vita ma i clienti dei grandi alberghi che si potevano permettere di sedersi ai tavolini e prendere una consumazione, gli Italiani erano solo i ricchi e famosi. Oggi dovrebbero aprire i negozi di alta firme, obbligare a costruire questo nuovo hotel 5 stelle sopra il Cafè de Paris dall’angolo di Via Lombardia, sembra che l’ha comprato un Principe del Burei. Io ho vissuto la via da quando l’Harry’s Bar si chiamava Golden Gate, quando c’erano il Bar Rosati, la Mondadori, Bar Strega, alimentari de amicis, il Doney, il Carpano, quella era Via Veneto.Incrociamo le dita

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