La “palazzina” romana fu anche occasione per fare grande architettura. E’ ora di riscoprirla

Nel libro "Palazzine in Cerca d'Autore", Stefano Nicita ci guida tra una bellezza troppo spesso inosservata. Un'anteprima del suo racconto fotografico

 

 

Per Italo Insolera, uno dei più apprezzati urbanisti italiani, la palazzina romana è il simbolo della rendita fondiaria e immobiliare. Un’operazione volta all’arricchimento di pochi, tanto che nel suo capolavoro Roma Moderna, scriverà la parola palazzina sempre in corsivo, quasi a prenderne le distanze, a simboleggiare un distacco culturale oltre che urbanistico. Questo stigma su una tipologia edilizia che costituisce quasi l’80% del nostro tessuto edilizio, ha costituito una condanna a priori di un edificio che invece riserva sorprese inaspettate.

In un momento storico compreso tra il 1920 e il 1960, nel quale la richiesta abitativa era enorme, tutti i più grandi architetti si impegnarono nel progettare palazzine. Anche coloro che poi fingeranno di essersene dimenticati. Moretti, Ridolfi, Libera, Pellegrini (che addirittura le cancellerà dal suo Curriculum). Perfino Bruno Zevi che esecrava la tipologia, ne realizzerà alcune.

Accanto a tante palazzine anonime e senza estro, le strade di Roma sono disseminate di esperimenti coraggiosi, di innovazione. Soprattutto nel secondo dopoguerra vivere in una palazzina era segno di successo personale; il giusto abitare delle classi borghesi e medio alte. I piani regolatori avevano fissato poche regole: l’altezza, i distacchi, le chiostrine. Tutto il resto era lasciato alla libertà espressiva dei progettisti che hanno potuto inserire nuovi materiali, adottare linguaggi inediti. Tra le due guerre il segno è stato lasciato da Piacentini, De Renzi, Aschieri, Capponi, Franzi e tanti altri che hanno sprovincializzato Roma, importando modelli europei.

Nel dopoguerra, la mano di Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, del fratello Ugo, Cesare Pascoletti, Venturino Ventura, Julio Lafuente , solo per citarne alcuni, ha prodotto edifici di una qualità così alta che le loro soluzioni sono state adottate 30 anni dopo come ancora mirabili e sbalorditive. Nascono le zone funzionali interne agli appartamenti, con la divisione tra giorno, notte e servizi. Gli atri e gli androni sono piccoli capolavori di proporzioni e artigianato di marmisti ed ebanisti.

E sono tante anche le palazzine non firmate o che comunque hanno un progettista ignoto a colpire per la loro bellezza. Con lo scopo di rendere giustizia e dare visibilità alla ricerca architettonica romana, Stefano Nicita ha prodotto un libro semplice ma dal grande valore visivo. Laureato in architettura, classe 1969, ama la fotografia e la bicicletta. E proprio spostandosi in bici ha iniziato a scattare foto degli edifici che lo colpivano. Lo incontro a casa mia, in una palazzina borghese del quartiere Trieste, che lui subito attribuisce a Serena Boselli e Massimo Parboni Arquati che in effetti hanno progettato altri immobili nella stessa strada.

Stefano Nicita

 

Ho cominciato a raggiungere il lavoro in bici per mantenere una certa forma fisica – mi spiega –  e ho scoperto un modo nuovo di vedere Roma. Se passi più volte nello stesso posto a quella velocità hai punti di vista diversi e ne apprezzi dettagli che possono essere sfuggiti in precedenza. Ho cominciato a scattare le foto in maniera molto spontanea“.

Domanda: Quindi senza cavalletti, luci, quinte particolari?

Risposta: “Non voglio che le mie foto siano perfette. Non cerco le astrazioni, anzi ho voluto restituire la realtà includendo i fiori, le piante, gli alberi. Tutti quegli elementi che permettono a Roma di essere una città paesaggio, anche per motivi casuali che le conferiscono un carattere unico. Molti quartieri hanno una personalità forte determinata soprattutto dalla palazzina che diventa un elemento architettonico e una caratteristica urbana“.

D. Eppure i romani spesso non sono consapevoli di vivere in una palazzina d’autore o comunque che ha un valore intrinseco per la sua modernità.

R.E’ vero, in quegli anni c’è stata anche una ricerca artistica di cui molti non sono a conoscenza. E a me piace fare da ponte tra gli addetti ai lavori e la gente comune. L’architettura può e deve essere amata da tutti, altrimenti resta qualcosa di elitario e per certi versi superfluo. Penso che una ricerca come la mia possa avere un interesse sociale oltre che architettonico“.

D. Mentre scattavi le foto, qualcuno ti ha chiesto come mai stessi inquadrando una palazzina?

R.Mi è capitato ma in genere scatto velocemente. Una volta avevo puntato l’obiettivo verso un edificio di Fiorentino e Di Castro e una signora che risiede all’interno si è avvicinata. Le ho spiegato chi fossero gli autori e lei mi ha contraddetto, citandomi il nome dell’impresa costruttrice. Molti fanno confusione tra il costruttore e il progettista. Altro motivo per cui è necessario conoscere meglio Roma Moderna“.

D. E’ vero che non si rispettano le proporzioni o i colori, montando verande, condizionatori, inferriate?

R.L’attenzione è scarsa, è vero. Ma è anche normale per abitare un luogo, adattarlo alle proprie esigenze. L’unità esterna del condizionatore è una violenza, ma almeno, nei casi fotografati da me, sono installate su una palazzina bella. Pensa se fosse pure brutta!

D. La palazzina del tuo cuore? Quella che ancora ti emoziona anche se l’hai guardata cento volte?

R.In via Barnaba Oriani 60, firmata da Monaco e Luccichenti. Non la conoscevo, l’ho scoperta per caso, in bici ovviamente, e mi colpisce il fatto che abbia varie facce, due volumi differenti, una parte più razionalista, un retro materico con la pietra mista, una progettazione sapiente che permette l’affaccio dei balconi sul verde“.

Via B. Oriani, la palazzina di Monaco-Luccichenti

 

D. I profili social dedicati all’architettura di Roma dagli anni ’30 al ’70, stanno riscuotendo sempre più successo di pubblico. Penso al Contrafforte, a Prestinenza Puglisi, a Modern Rome Architecture. Sono utili per far notare qualcosa che prima passava inosservato?

R.Molto utili. Il contributo più importante lo ha dato Open House ma in tutta Europa (forse anche in tutto il mondo, Usa in primis) c’è una tendenza alla riscoperta di quella parte del moderno un po’ dimenticata. Ad essere maggiormente interessati sono i più giovani per i quali evidentemente c’è meno condizionamento ideologico. La mia ricerca rientra in quest’onda, anche se il lavoro che ho fatto è fuori dagli schemi tradizionali“.

D. Dagli anni 80 in poi, è come se si fosse persa la vena creativa. Di quale male soffre l’architettura più recente?

R. E’ anche la banalità delle case di oggi che mi ha spinto a intraprendere questo lavoro di rivalutazione. In primo luogo ai giorni nostri non c’è più esigenza di costruire nelle quantità dell’epoca e si sa che l’architettura si sviluppa quando c’è entusiasmo e necessità di fare. In quegli anni si cercava di fare meglio del vicino, che poteva essere Moretti, Monaco o un Luccichenti ecc…, c’era una necessaria ricerca dell’originalità e quando si realizzano tanti edifici, sui numeri è ovvio che emergono cose belle. Negli ultimi decenni mi sembra che si siano perse sia la capacità costruttiva che la profondità progettuale.

D. Gli androni degli anni ’30, ’40, ’50, ’60 sono a volte gemme sconosciute. Le scale, i portoni. C’è attenzione alla loro conservazione o si rischia di snaturare e stravolgere?

R.La cosa che si nota di più purtroppo è la sostituzione di molti portoni con qualità non all’altezza di quelli dell’epoca. Ne ho visti e scoperti tanti sebbene non abbia avuto facilità ad entrare, tranne in alcuni casi. I condòmini e i portieri spesso guardano con sospetto chi si avvicina troppo per curiosare. Mi piacerebbe molto dedicare agli androni un nuovo libro. Magari se divento famoso, sarà più facile entrarci?” (ride).

D. A proposito di nuovi libri, ce ne è uno già quasi pronto. Ci puoi dare un’anticipazione?

R.Sarà dedicato a Julio Lafuente. Ho avuto accesso all’archivio detenuto dalla figlia che ha apprezzato il mio stile di ricerca, allo stesso tempo attento ma informale, concentrato sulla residenza e i dettagli architettonici. Lafuente è strettamente collegato a due protagonisti di quegli anni, Monaco e Luccichenti, essendo stato collaboratore del loro studio per anni. Proprio questo legame mi ha spinto a studiarlo ed è interessante approfondirne i dettagli“.

D. Perché il libro si intitola “Palazzine in cerca d’autore”, sebbene di molte di loro l’autore sia noto?

R.Fondamentalmente perché non esistono targhe sulle palazzine in cui sia indicato il progettista, quindi la ricerca dell’autore è un problema comune; riguarda chi non lo sa perché non è del settore, chi lo ha dimenticato, chi pensa sia di un altro o chi apprezza una palazzina di cui non si conosce l’autore. Insomma il libro vuole tendere una mano a chi guarda la palazzina e non ne conosce il progettista e ciò nonostante quella costruzione gli suscita curiosità o provoca emozione“.

 

Ho chiesto a Stefano Nicita di scegliere e commentare per diarioromano alcune delle palazzine ritratte nel suo libro. Le vediamo qui di seguito

Via Bertoloni, anni ’40 o ’50 (?). La palazzina si distingue per la sua evidente modernità in un ambito caratterizzato da villini più “classici” del primo Novecento e in particolare per il coraggioso e movimentato disegno dei balconi perimetrali, quasi a conformazione stellare, pur se contenuti in un rettangolo, ad arricchire il paesaggio urbano

 

Via B. Oriani 60. V. Monaco-A. Luccichenti. 1952-54. La composizione è particolare perché giocata sull’incontro tra due volumi rettangolari non ortogonali tra loro, relativamente chiusi sul lato pubblico ma aperti con ampi balconi a sfruttare il bell’affaccio posteriore su Villa Glori

 

Via Pezzana. Ugo Luccichenti, 1953-54. La palazzina ha una doppia faccia con fronte su strada ordinato e geometrico e retro irregolare e a gradoni, sagomato sul profilo del terreno e con ampie terrazze affacciate sulla valle del Tevere. Interessante il sistema trave-pilastro che segna l’ingresso decentrato

 

Salita dei Parioli, anni ’30-’40. Si notano soprattutto: la vetrata ‘funzionalista’ del corpo scala, il raggruppamento a nastro delle finestre, la pensilina di ingresso a piano terra e il disegno della recinzione e del cancello

 

Via Sant’Angela Merici. Davide Pacanowski, 1951. Edificio particolare, come il suo autore, ingegnere-architetto ebreo-polacco, cancellato dall’Albo di Roma a seguito delle leggi razziali del 1938 ma poi progettista di varie palazzine negli anni ’50, con elementi vicini al linguaggio del Movimento Moderno e con i balconi a profili smussati curvi

 

Via Montanelli. Venturino Ventura, 1960. I materiali dominanti sono: il legno dei rivestimenti della facciata e degli intradossi dei lunghi balconi e della copertura e il cemento a vista di quelli circolari posti sui tre spigoli del triangolo, quasi torri reinterpretate in chiave moderna

 


 

Il volume è acquistabile solo su Amazon  a questo link

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19 risposte

  1. Salve anche io sono rimasto interessato dalle palazzine romane e i loro balconi con tante piante comunicano serenitá, ordine amore x la natura! Roma è una città unica come poche e solo ki si innamora di lei al primo sguardo puó trovare x lei sempre interesse!!

  2. Ottima idea.
    Sono interessato a regalarlo a mia moglie architetto.
    Condividiamo molte cose del libro vivendo nel quartiere parioli piazza verdi e figlio di architetto che ha lavorato a Roma neganni sessanta. Dove posso trovarlo?

    1. Grazie dell’interesse. Il libro si trova solo su Amazon, al link indicato in fondo all’articolo. È una pubblicazione indipendente.

  3. Non e’ facile scrivete ma interessante il volume e la ricerca dell’ autore.vorrei segnalare le tante palazzine anni 20/30 /40 nel quartiere Prati e trieste che con facciate restaurate hanno ripreso i bei colori accesi che un tempo erano di moda a Roma.aspetto questo volume.cordiali saluti

  4. Mi piacerebbe fosse esaminato un complesso di. 18 edifici anni 70 che formano Via Umberto saba, Eur
    Credo che la loro architettura sia interessante. Un piccolo gioiello di modernità, ritengo
    Grazie

  5. Mi piacerebbe fosse esaminato un complesso di. 18 edifici anni 70 che formano Via Umberto saba, Eur
    Credo che la loro architettura sia interessante. Un piccolo gioiello di modernità, ritengo
    Scrivo per la prima volta
    Grazie

  6. La palazzina di via Ber Grazietoloni 1E è opera dell’architetto Evandro Pratesi, completata nel 1957. Mio padre Pio Macchi di Cellere – allora Ministro Plenipotenziario in Nuova Zelanda – ne acquisto i piani attico e superattico ancora in fase di costruzione; ed io ventenne, che frequentavo la Facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza, mi sono deliziato a seguire i lavori. Ho avuto in eredità gli appartamenti nel 1982 e ci vivo con mia moglie e mio figlio Alessandro dal 1986, rientrato da New York dove ho lavorato per alcuni anni. Vedere la palazzina riprodotta sulla copertina del suo libro mi ha dato una forte emozione. Grazie

  7. La palazzina di via Bertoloni 1E è opera dell’architetto Evandro Pratesi, completata nel 1957. Mio padre Pio Macchi di Cellere – allora Ministro Plenipotenziario in Nuova Zelanda – ne acquisto i piani attico e superattico ancora in fase di costruzione; ed io ventenne, che frequentavo la Facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza, mi sono deliziato a seguire i lavori. Ho avuto in eredità gli appartamenti nel 1982 e ci vivo con mia moglie e mio figlio Alessandro dal 1986, rientrato da New York dove ho lavorato per alcuni anni. Vedere la palazzina riprodotta sulla copertina del suo libro mi ha dato una forte emozione. Grazie

    1. Grazie mille per aver voluto condividere queste informazioni con me e con Diario romano e i suoi lettori. Dovrò aggiornare il libro. Penso che la palazzina sia molto bella e porti i suoi anni benissimo. Poi ha contribuito a fare una discreta copertina direi…

      1. Penso che vi sia sfuggito.l’importantissimo repertorio dell’architettura a Roma redatto e aggiornsto dalla studiosa Irene de Guttry, edito e ripubblicato più volte dalla casa editrice De Luca. Vi troverete molto del passato e vari aggiornamenti. Non coincide certo con il bel volume concentrato sulla “palazzina” , ma è veramente capillare!

        1. Cosa le fa pensare che ci sia sfuggito? Io conosco benissimo quel libro, così come quello di Piero Ostilio Rossi. Del resto sono, insieme ad altri, nella bibliografia del mio libro. Saluti.

  8. Complimenti per l’idea, ritengo sia giusto valorizzare le palazzine che hanno una storia da raccontare. Sarebbe interessante un focus sul quartiere Vigna Clara e realizzare una mappa di tutte le palazzine di rilevante interesse apponendo una targa su ciascuna palazzina che indichi la genesi.

    Complimenti per l’iniziativa.

  9. Sicuramente alcune palazzine romane sono esempi di buona architettura, ciò non toglie che la tipologia, dettata da un rapace sfruttamento fondiario, ha deformato l’immagine della città, trasformando vie e spazi pubblici in un anonima accozzaglia di edifici senza qualità distruggendo ogni futura speranza urbanistica

    1. Probabilmente allora è sbagliato occuparsi sulle palazzine. Meglio continuare a ignorarle, nonostante siano così amate dai romani e così apprezzate anche a livello internazionale.

  10. Davvero interessante questa raccolta di architettura abitativa, un anticipo di quanto fatto da Stefano Boeri oggi come la profondità delle balconate a verde, un mix tra architettura razionalista è architettura organica, tanto cara a Bruno Zevi!!!

  11. Casi unici e rari di buona architettura post bellica !! Alcune sulla Cassia ….con “terrazze degradanti “sono veramente opere eccellenti anche in termini di buon uso dei materiali….

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