La chiusura domenicale dei negozi potrebbe costare molto a Roma

 

Quando ho sentito Di Maio affermare che l’apertura domenicale dei negozi ha distrutto molte famiglie, mi sono domandato se la mia famiglia di giornalista valesse meno di quella di un impiegato di un centro commerciale. Ho iniziato a lavorare in una redazione televisiva nel 1990 e ho smesso 21 anni dopo. In 21 anni di lavoro dipendente non ho mai avuto la certezza di un week end libero dato che il telegiornale va in onda tutti i giorni, domenica e festivi compresi. L’ufficio del personale organizzava i turni cercando di lasciarci almeno un fine settimana al mese a testa, mentre gli altri giorni di riposo erano distribuiti durante la settimana. Non ho mai sentito un ministro parlare delle condizioni difficili dei giornalisti, costretti a stare lontani dalla famiglia. Forse perché i giornalisti sono dei privilegiati o almeno questa è la vulgata. Eppure una delle mie amiche più care svolge la professione di infermiera in un grande ospedale romano e lei, oltre alle domeniche, lavora di notte da quasi 30 anni. Il marito, un medico di un altro ospedale, è specializzato in medicina d’urgenza e i suoi turni al pronto soccorso non rispettano le scadenze religiose della domenica o quelle laiche del 25 aprile o del primo maggio. Saranno privilegiati anche loro!

Stesso discorso si potrebbe fare per decine di categorie professionali: le forze dell’ordine che, come ricordava Pasolini, guadagnano poco e lavorano 365 giorni l’anno. E poi ci sono gli addetti ai trasporti (macchinisti, piloti, personale di volo, autisti); i lavoratori di alberghi e ristoranti; il personale di soccorso (ambulanze, vigili del fuoco); addetti a cinema, teatri, parchi giochi;  operatori ecologici (tranne a Roma!!); lavoratori dei servizi (autostrade, aziende del gas e dell’elettricità) e l’elenco potrebbe continuare a lungo perché parliamo di 4,7 milioni di dipendenti. Si tratta di 329 mila persone nell’industria, 686 mila dipendenti pubblici, 241 mila nei servizi e così via.

Chissà perché la loro famiglia ha meno diritti di quella degli addetti al terziario e al commercio che tanto sta a cuore a Di Maio. “Il profitto non è tutto e la felicità dei lavoratori è un valore anche per le aziende”, scrive il Ministro del Lavoro sul blog delle Stelle. Quindi la sua proposta è frutto di attenzione per i diritti dei lavoratori e non tiene conto del risvolto economico, negativo o positivo che sia. Se è così perché allora non interrompere altri servizi non essenziali la domenica? Per esempio perché i ristoranti devono restare aperti? Si può benissimo tutti mangiare a casa nei giorni di festa e permettere a camerieri e cuochi di stare con le loro famiglie. E poi lo svago, il cinema, i teatri. Sono tutte cose che si possono fare nei giorni feriali. E pure sti notiziari che ci bombardano di fake news! Che si riposino e al lunedì riassumeranno i fatti del week end.

Non è una provocazione è la conseguenza logica della proposta Di Maio. Se invece esaminiamo la questione dal punto di vista economico, allora dobbiamo considerare che la presunta felicità dei genitori di stare con i loro figli la domenica si scontrerà con il ridotto guadagno di quei genitori.

 

Secondo Federdistribuzione, nella sola città di Roma la mancata apertura domenicale dei centri commerciali taglierebbe duemila posti di lavoro. Per il Campidoglio quasi un milione di romani fa acquisti o passa la giornata in un mall nei giorni festivi con ovvie ricadute sull’indotto. Tanto che l’assessore al commercio, il 5stelle Carlo Cafarotti, parla di peculiarità romana: “E’ una metropoli – ha dichiarato al Messaggero – quindi ha necessità da grande metropoli e da prima città turistica d’Italia“. Ecco perché l’intenzione della giunta Raggi sarebbe di chiedere a Di Maio un’esenzione delle città turistiche dall’obbligo di chiusura.

Insomma le esigenze di stare in famiglia dei lavoratori del commercio romano sarebbero meno importanti di quelle dei lavoratori di Salerno o di Modena. Eppure il leader grillino continua a dire che il profitto non è tutto. Forse il profitto romano conta più di quello degli altri?

Se anche Di Maio lo facesse per tutelare i piccoli commercianti che sono stati schiacciati dai grandi centri commerciali, non avrebbe centrato il punto: secondo alcune associazioni di categoria, come Cna Commercio e Federalimentare, così facendo si perderanno molti acquisti che non si spalmeranno negli altri giorni, vanificando lo sforzo di chi si è organizzato per restare aperto la domenica.

In effetti un canale di vendita sempre aperto c’è ed è internet. Amazon, Alibaba, Westwing, ebay, Wish, Saldi Privati e tanti altri ancora, non chiudono mai. E le esigenze di acquisto che ora si svolgono la domenica, si sposterebbero in gran parte verso questi giganti che hanno sede in Irlanda o alle Cayman e che pagano due soldi lavoratori che si occupano solo di consegne. Possibilmente anche di domenica.

Da lavoratore domenicale, mi domando se il problema sia obbligare tutti gli operatori del commercio a stare a casa o vigilare sui loro diritti. In Italia, per fortuna, vi sono ancora leggi molto chiare sugli obblighi di riposo settimanale, sulla maggiorazione festiva dello stipendio e sulle turnazioni. Sarebbe più opportuno far rispettare queste norme che chiudere le attività. Anche la Raggi, a Roma, per paura di corruttela e infiltrazioni ha deciso di bloccare lo sviluppo della città: è chiaro che così la possibilità di corruzione si riduce notevolmente. Ma il prezzo che sta pagando Roma è molto alto e verrà scaricato sulle generazioni future che avranno molte meno occasioni di lavoro dei loro omologhi di Londra, Berlino e perfino Milano.

A forza di bloccare tutto, in famiglia ci staremo sempre, non solo la domenica!

 

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