Il parco del Pineto sta morendo. Appello di cittadini e ambientalisti per salvare un patrimonio inestimabile

In 13 anni si sono persi più di 150 alberi. Molti pini sono vecchi, i parassiti e le potature sbagliate hanno fatto il resto

 

Due fotografie scattate nello stesso punto a distanza di 13 anni l’una dall’altra. Nella prima, del 2010, una vegetazione ancora rigogliosa e una pineta forte. La seconda, di questi giorni, mostra alberi diradati e deboli. Franco Quaranta, insegnante in pensione, storico attivista a difesa del verde nel XIII Municipio, si domanda sconsolato: “Quale città nel mondo è così insensibile da lasciare andare in rovina un patrimonio di questo tipo”? Distribuita su 250 ettari, la Pineta Sacchetti costituisce un’oasi di grande importanza naturalistica con 600 specie vegetali e 71 specie di uccelli. Tutto potrebbe cambiare se non si interviene in fretta per arrestare la moria continua di alberi.

Gli attivisti del parco hanno calcolato che in soli 13 anni sono venuti a mancare 150 alberi: sul terreno restano 120 ceppaie frutto di crolli e potature poco attente. Le nevicate del 2012 furono all’origine di tagli violenti che iniziarono a sfoltire la pineta. In seguito, nel 2018, fece la sua comparsa la toumeyella detta anche cocciniglia tartaruga, un parassita che porta al deperimento e poi alla morte dei pini. “Si è agito con una lentezza esasperante – denuncia Franco Quaranta – tanto che le prime cure per arginare il fenomeno arrivarono solo nel 2020 quando troppi alberi erano ormai stati infestati”.

Le cosiddette “endoterapie” a base di un insetticida, l’Abamectina, risultano efficaci per bloccare l’insetto ma vanno ripetute con costanza ogni 16/18 mesi e diventa difficile, in alcuni casi impossibile, somministrarla a tutti gli alberi. Inoltre molti sono ormai anziani: furono rinnovati negli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso per cui oggi hanno circa 90 anni. Per ogni grande pino che muore, occorre piantarne 150 piccoli per avere un bilancio positivo in termini di produzione di ossigeno.

 

Per questo il Pineto è considerato un territorio dalla enorme valenza ambientale e storica. Qui, nel XVI secolo, Pietro da Cortona edificò una grande villa per la famiglia Sacchetti e l’intero parco era ricco di vigne e casali. Nel 1985 la Pineta Sacchetti è stata sottoposta a vincolo paesaggistico come area urbana protetta, gestita dall’ente Roma Natura. Ma sembra che nessuno ascolti l’allarme lanciato dalle associazioni cittadine dato che ad oggi non esiste un progetto per salvare la pineta, né per metterla in sicurezza negli orari notturni prevedendo una illuminazione più efficace e una recinzione delle parti più esposte.

Per la lotta al parassita, i cittadini del quartiere chiedono che siano selezionati almeno gli alberi dal maggior valore in modo da salvare selettivamente quelli monumentali. Somministrare la cura costa poco più di 80 euro a pino, mentre per abbatterli e portarli via si spende dieci volte tanto. Un’altra possibilità arriva dalla ricerca di un antagonista naturale che combatta il parassita. Il Crea, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura del Ministero della Sovranità Alimentare, sta studiando un microrganismo prelevato dalle isole Turks e Caicos nell’Oceano Indiano, che in laboratorio sta dando ottimi risultati. Prima però di ottenere il via libera per l’antagonista passeranno anni e nel frattempo la Pineta rischia di estinguersi.

 

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Una risposta

  1. Incuria tipicamente romana, oltre agli alberi in agonia il parco è ormai ridotto a un mezzo bivacco di spacciatori, marchettari e afffini che dopo lasciano kleenex nei cespugli, per non parlare delle centinaia di villeggianti che si sentono in diritto di urinare tra i cespugli senza curarsi neanche di nascondersi in luogo più appartato; li vedi avvicendarsi uno dopo l’altro. Conclude l’opera la totale mancanza di cassonetti della spazzatura. Mi piange il cuore!

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