Il Palazzo di via Maria Adelaide diventerà il Museo delle Foibe

Dopo decenni di abbandono e occupazioni l'edificio della Regione trova una sua destinazione. Un luogo del ricordo, finanziato dal Governo con 8 milioni

 

Più volte ci siamo occupati di questo stabile che cade in rovina. Dopo anni di occupazioni iniziate nel 2005 e terminate solo nel 2021, dell’edificio resta una bella facciata ottocentesca ma gli interni, gli infissi e i solai sono totalmente da rimettere in pristino. La notizia di queste ore è la sua destinazione a Museo del Ricordo, in particolare della tragedia delle Foibe istriane che ha visto morire migliaia di italiani a cavallo del 1945.

La Regione Lazio, che ne è proprietaria, gestirà il nuovo Museo mentre i finanziamenti di otto milioni provengono dal governo Meloni. “Vogliamo conservare la memoria dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra“, ha detto il ministro Sangiuliano annunciando la nascita di una fondazione, istituita da Ministero della Cultura e Regione Lazio.

Questo quadrante, a ridosso di piazza del Popolo, vivrà dunque un nuovo sviluppo anche grazie alla costruzione del Brach Hotel, firmato da Philippe Starck, il cui cantiere in via Luisa di Savoia è già molto avanti. E’ essenziale che una zona così centrale e ricca di turismo possa crescere per creare posti di lavoro e allontanare le sacche di degrado.

La scelta di realizzare un Museo per le Foibe è frutto probabilmente dell’orientamento politico dell’attuale governo che però ha anche giustamente dato il via alla nascita di un Museo della Shoah nell’area di Villa Torlonia. D’altronde il ricordo della tragedia istriana è necessario tanto più che fino agli anni ’90 del secolo scorso, l’argomento era tabù a causa di imbarazzi più o meno velati. Gli orrori prodotti dai totalitarismi non dovrebbero avere colore politico, sia se causati dalle destre che dalle sinistre.

Un modestissimo contributo a riportare agli onori della cronaca la questione delle Foibe, l’ha data anche chi scrive con una trasmissione televisiva prodotta dall’allora emittente romana Teleregione. Ben 29 anni fa, nel 1995, riuscii a mostrare documenti e filmati inediti che fino ad allora erano conservati in qualche polveroso archivio. La visione di quei documenti aprì un dibattito parlamentare e fu oggetto di articoli di molti giornali. E’ da allora che, in qualche modo, si vinse la naturale ritrosia di parte della sinistra a parlare delle Foibe. In quella trasmissione, oltre ai rappresentanti degli esuli dalmati, portai lo storico Arrigo Petacco che raccontò una vicenda del tutto inedita. Uno scoop che sarebbe bello fosse parte del nuovo museo di via Maria Adelaide.

Arrigo Petacco (a sinistra) nel 1995

 

Un breve cenno storico: in Friuli hanno sempre convissuto persone appartenenti ad etnie diverse (italiani, croati, sloveni, serbi). Durante il regime fascista, il governo impose una “italianizzazione” forzata, obbligando alla modifica del cognome o impedendo di parlare la propria lingua madre. Nacquero così i movimenti di opposizione di matrice socialista/comunista. Quando parte di quei territori finirono sotto il controllo della Jugoslavia, gli italiani presenti furono maldestramente definiti “tutti fascisti” e per vendetta alcune centinaia di loro furono fucilati e gettati nelle Foibe, alcune cavità naturali carsiche. Tutti coloro che potevano opporsi al governo di Tito furono trucidati ma tra loro c’era anche tanta gente comune che aveva solo la colpa di essere italiana.

Dalle città di Pola e Zara furono cacciate circa 350 mila persone che divennero profughi e si distribuirono sul territorio del nostro Paese. Anche a Roma, c’è un quartiere che li ha accolti e che ancora oggi si chiama Giuliano-Dalmata; si trova sulla Laurentina.

La fuga da Pola nei documenti inediti mostrati nel 1995
Prima di lasciare le case, molti scrivevano “viva l’Italia” sui muri

 

Lo scoop cui facevamo accenno, riguarda una sorta di contro-esodo organizzato da Pietro Secchia, allora numero due del Partito Comunista, dopo Togliatti. Il Partito chiese a circa mille abitanti di Monfalcone di migrare verso l’Istria e la Dalmazia in modo da dimostrare agli osservatori e ai giornalisti che non era vero che tutti gli italiani erano stati cacciati e che a fuggire erano stati solo i fascisti, mentre i comunisti erano rimasti. L’aspetto più incredibile è che quando in seguito Stalin ruppe con Tito, il leader Jugoslavo li fece arrestare tutti e li mandò in un campo di concentramento sull’Isola Calva¹. Queste persone rimasero rinchiuse per sei anni e quando finalmente furono liberate, per fedeltà al Partito Comunista e per non dimostrare che anche a sinistra si erano commessi tremendi errori, rimasero in silenzio. Non raccontarono a nessuno la loro drammatica vicenda fino agli anni ’80, quando ormai erano molto anziane. Questa storia fu appunto raccontata per la prima volta in televisione da Arrigo Petacco e dal sottoscritto nel 1995. Dieci anni dopo, nel 2005, fu istituito il giorno del Ricordo delle Foibe.

Dunque un museo che ricostruisca un pezzo importante della nostra vita recente e la riqualificazione di un edificio pregiato nel centro di Roma, possono essere considerate due buone notizie. Lo scriviamo senza strumentalizzazioni politiche tanto più che il sottoscritto non può certo essere tacciato di simpatie di destra. Ma la storia non ha colori e dovrebbe essere nostra maestra. Purtroppo la frase è abusata ma quasi sempre inutilizzata.

 

¹il racconto fu oggetto di un libro pubblicato nel 2002: “Goli Otok. Italiani nel Gulag di Tito”, di Giacomo Scotti


Sull’edificio di via Maria Adelaide vedi pure
Città in rovina – Il palazzo della Regione Lazio in via Maria Adelaide | Diarioromano


Clicca qui per le precedenti puntate di Città in rovina

 

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