Difficile trovare qualcuno in grado di sfidare la retorica dell’eroe graffitaro, in un panorama informativo dominato dal conformismo. Permetteteci quindi di citare Paolo Graldi, che dalle pagine del Messaggero ha lanciato un pesante j’accuse contro l’indifferenza nei confronti dei writers. Un’amara fotografia dei danni inferti al patrimonio pubblico dai vandali graffitari. Un’invasione irrispettosa dei cittadini e dei luoghi della vita comune; un assalto brutale, tracotante e violento, consumato gradualmente e nel silenzio generale. Il grande malinteso degli artisti ribelli che colorano le grigie periferie, si è rivelato una favoletta buona per i gonzi e i male informati, usata per mascherare una guerra tra bande per il controllo del territorio. Una gara tra writers per coprire più spazi possibili – muri, cartelli stradali, mezzi pubblici, oggetti di arredo urbano – con il proprio nome o quello del proprio “collettivo”. Una strategia simile a quella adottata dai gruppi estremisti di destra e sinistra, per la propaganda e il reclutamento di militanti: scrivere sui muri per marcare il territorio. Non è un caso che entrambe le correnti di pensiero, il writing e il sovversivismo anti-istituzionale, fondino la propria ragione d’essere sul rifiuto delle regole comuni imposte dall’autorità per definizione oppressiva. Una visione ideologica del mondo, superata dalla storia, che indica una forte tendenza all’infantilismo politico, al narcisismo e all’immaturità. Un conflitto egocentrico e autoreferenziale – quello dei writers che si sfidano per contendersi visibilità – spacciato per coraggiosa manifestazione di libertà di espressione. Un’operazione di conquista del territorio condotta in maniera sistematica, capillare e ossessiva, che ha finito per rendere la nostra città una sterminata lavagna per graffitari. Un’infinita sequela di tag, scarabocchi e slogan politici, un immenso sgorbio intervallato qua e là da opere d’arte degne di nota. Graffiti e scritte ovunque. Uno scenario agghiacciante, senza precedenti, che non eguali al mondo.

 

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Uno schema sottoculturale – quello del vandalismo grafico – divenuto socialmente accettabile o comunque tollerato dal sentire comune per il combinato disposto di quattro fattori:

– l’indifferenza dell’autorità,

– l’assuefazione al brutto e all’illegalità,

– l’egoismo autodistruttivo dei romani che li induce a comportarsi male (parcheggiare male, attaccare adesivi e manifesti di autopromozione, scrivere sui muri) per soddisfare i propri bisogni ed interessi,

– mancato senso di appartenenza ai luoghi (e “schizofrenia sociale” che porta ad esaltare la bellezza di Roma nel mentre la si trascura e offende).

A questo aggiungeteci la campagna di disinformazione tesa ad equiparare graffiti e street art, portata avanti in modo non del tutto disinteressato da numerose associazioni culturali, con l’appoggio pressoché unanime del mondo intellettuale. E sotto lo sguardo benevolo delle classi dirigenti locali, che promettono aiuto e sostegno ai volontari antidegrado e partecipano agli eventi di pulizia degli imbrattamenti, da un lato, e dall’altro non fanno nulla per prevenire e contrastare gli atti di vandalismo.

Ma perché i nostri politici e rappresentanti istituzionali non agiscono?

Dopo anni vissuti a stretto contatto con la politica locale, abbiamo dovuto prendere atto che esiste una sotterranea affinità elettiva tra ceto politico e graffitari. Il “patto sociale” che vige tra cittadini e amministratori, basato sulla reciproca tolleranza, contempla una vera e propria solidarietà ideologica di sinistra per le scritte politicizzate dei gruppi anarchici e antagonisti e di destra per le scritte fasciste. Tu chiamala se vuoi nostalgia, ma la maggior parte dei consiglieri comunali sottovaluta e minimizza i danni provocati dai writers in ossequio al motto vetero-militante “Muri puliti, popoli muti”. La fascinazione per il graffitaro dissidente non ha risparmiato il Movimento 5 stelle. Sembra incredibile, ma anche loro subiscono il fascino del vandalo-artista. Ma non dovevano segnare una netta discontinuità con il passato, distinguendosi dalla vecchia politica?..

Insomma com’è possibile che i rappresentanti della “Città più bella del Mondo” non si accorgano dello scempio di tanti edifici, monumenti e infrastrutture? Un degrado generalizzato che mina le fondamenta della nostra città. L’orgoglio civico e il senso di appartenenza al luogo in cui viviamo.

E’ troppo chiedere rispetto per le nostre case e non ricoprirle di graffiti? Ed una maggiore attenzione alla cura degli spazi pubblici (treni, stazioni, arredo urbano)?

 

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Eh sì, evidentemente è davvero troppo per il variopinto e composito fronte che si oppone all’ideologia del decoro, come la chiamano loro, professata da noi poveri ignoranti, gretti e insensibili verso l’arte dei graffitari autoproclamatisi eredi di Ketih Haring, Basquiat, Bansky e Obey. Secondo loro, intellettuali simpatizzanti e adoranti esaltatori, ogni graffito o murales è sempre un’opera d’arte. Maîtres à penser, capi-popolo ed esegeti del pensiero unico dei muri sporchi/colorati, hanno gioco facile a dipingere i cittadini antidegrado (blog e volontari) come un branco di fanatici integralisti che odiano l’arte. Facile controbattere che non è così, che molti di noi hanno interessi culturali, che tra noi ci sono appassionati, esperti e studiosi d’arte, cinema e musica. Scontato ribattere che siamo da sempre favorevoli alla street art “responsabile”, consapevole e rispettosa dei beni di tutti. Il problema è che non ci facciamo abbindolare dalle teorie secondo cui l’uniformità cromatica delle superifici è un’insopportabile imposizione. L’equilibrio estetico e l’armonia visiva del “bianco-grigio” ha caratterizzato la storia dell’architettura e non sta scritto da nessuna parte – scusate il bisticcio – che ogni muro e superificie deve essere decorata con la proverbiale “esplosione di forme e colori”!

E’ ora di mettere la parola fine al falso dibattito sul valore dei graffiti. Non neghiamo la valenza artistica e culturale di alcuni pezzi sui treni e sui muri. Quello che respingiamo fermamente è la giustificazione del vandalismo in nome dell’arte o della politica. L’arte urbana o è condivisa e autorizzata pubblicamente, o diventa sopruso e prevaricazione.

La Grande Bellezza sfregiata dai graffiti non è una situazione irreversibile, un dato ineluttabile, una sentenza irrevocabile di condanna. I sindaci delle città capitali di tutto il mondo combattono il graffitismo vandalico. Dalla New York di Bill De Blasio alla Parigi di Anne Hidalgo, da Londra con Sadiq Khan (qui il sito della polizia locale) con i suoi distretti (pagina tipo dei municipi londinesi) alla Berlino di Michael Müller, tutti ma proprio tutti combattono i vandali graffitari, tranne noi.

Eppure soluzioni ci sono e possono essere messe in pratica come dimostrano le “best practice” nelle principali città italiane e straniere. Le abbiamo raccolte ed elencate nel nostro programma “open source” di libera consultazione.

 

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Approcci e metodologie di successo che possono rendere migliore la nostra città. Aiutateci a promuoverle e diffonderle tra gli amministratori locali. Facciamo squadra tra blog, associazioni  e utenti social “impegnati” per il bene di Roma.

 

 

 

 

 

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