Due voragini in 200 metri e il quartiere Africano va in tilt

Da ieri chiuso un lungo tratto di viale Somalia. A luglio un'altra buca si aprì in largo Somalia. Il problema dei collettori fognari vetusti e della scarsa manutenzione

 

E’ come se viale Somalia fosse disseminato di mine. Non bastava la voragine profondissima che dal 25 luglio paralizza Largo Somalia, ma ora si aggiunge un nuovo buco che ha obbligato i vigili urbani a chiudere l’intera strada tra via Magliano Sabina e via Felice Anerio. In pratica un ampio quadrante del quartiere è off limits e la circolazione, già caotica per il Natale, è totalmente paralizzata.

Ieri, nonostante la festività dell’Immacolata, i residenti erano nel panico e oggi con il consueto mercato del mattino il caos è assicurato. Non è certo la prima volta che si aprono voragini a Roma ma due profonde cavità nell’arco di pochi metri dimostrano che il problema non è delimitato ad un singolo cedimento ma riguarda il pessimo stato della rete fognaria romana e del sottosuolo cittadino.

 

Il dato è ormai chiaro e sarebbe ora che il Campidoglio affrontasse l’emergenza con un piano strutturato e pensato. Basta guardare la costante crescita dei numeri negli ultimi dieci anni. Se infatti tra il 1998 e il 2008 si registravano in media 16 voragini l’anno, nel decennio seguente si è arrivati ad una media di 90 voragini l’anno, con il picco del 2018 che ha superato le 140. Avevamo già dato conto dell’allarme lanciato dall’ISPRA, l’Istituto per la Sicurezza Ambientale, che nel suo “Rapporto su rischio alluvioni, frane e cavità sotterranee di Roma” raccontava di 32 km di corridoi sotterranei e 500 ettari con alta probabilità di sprofondamento. Zone sulle quali vivono 250 mila romani, il numero maggiore di abitanti a rischio voragine di tutta Europa. I quartieri che corrono il maggior pericolo sono quelli ad est (Prenestino, Tiburtino, Centocelle ed Appio Tuscolano), seguiti da Centro Storico e San Giovanni, oltre a Monteverde, Aventino ed Esquilino.  E poi c’è il quartiere Trieste/Salario che come abbiamo visto in queste settimane sta letteralmente venendo giù.

Nelle foto che seguono si può vedere la recinzione ormai abbandonata dal 25 luglio scorso che circonda una voragine profondissima in largo Somalia. Qui gli operai intervennero nelle prime ore ma quando si accorsero che il danno era a 12 metri di profondità abbandonarono il cantiere. Il Municipio passò la palla ad Acea che dovrà realizzare una struttura palificata che permetta ai tecnici di calarsi nel buco e studiare una soluzione. Casi simili erano accaduti nel 2020 in via Alessandria (rimasta chiusa per oltre 15 mesi), in via Salento, via Poggio Moiano e molte altre.

 

Cosa c’è all’origine di guasti così seri e di voragini così profonde? La motivazione è il collasso del sistema fognario romano, ormai vetusto e per nulla manutenuto. Le voragini pertanto hanno una duplice causa: da una parte le lunghe gallerie che l’uomo ha scavato nei secoli per estrarre tufo e materiali di costruzione e dall’altra reti idriche e fognarie ormai molto vecchie che si bucano. L’acqua piovana fa il resto, infiltrandosi ed erodendo gradualmente il terreno.

Nel 2019, diarioromano intervistò la dottoressa Stefania Nisio, primo tecnologo dell’Ispra, che si concentrò sul fenomeno delle cavità sotterranee di Roma.

Oggi vogliamo soffermarci brevemente sull’altro problema che è appunto quello del collasso della rete fognaria. Una rete che era l’orgoglio della Roma antica nel mondo, la prima città ad essere dotata di un sistema di smaltimento delle acque reflue con la celebre Cloaca Maxima voluta da Tarquinio Prisco.

Tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso il Comune mise in campo uno sforzo notevole per raggiungere le zone non servite da fognature. Basti pensare che nel 1982, quasi 1.970.000 romani scaricavano le acque in fognature non a norma. Nel 1997 l’imponente lavoro del Campidoglio aveva ridotto a soli 52.000 il numero degli abitanti non raggiunti da un collettore regolare¹. Dunque tutti gli investimenti di quell’epoca furono tesi (giustamente) a ridurre, fino quasi a eliminare, gli scarichi inquinanti.

Il problema è che contemporaneamente non si riuscì ad investire sulla rete esistente che via via andava invecchiando e si dimostrava sempre meno adatta a sostenere l’incremento di popolazione di alcune zone. Molti ricorderanno la lunga chiusura del tratto centrale di via Tiburtina a pochi passi dalla Stazione, ove furono rifatti proprio i vecchi collettori ormai collassati. Ma al di là di questo intervento, concluso nel 2018, il resto della rete non è stato manutenuto e il risultato è il continuo aprirsi di falle che provocano voragini.

Si stima che per risanare la rete all’interno del Raccordo Anulare, servano circa 300 milioni e soprattutto una pianificazione intelligente che garantisca lavori notturni o nelle stagioni estive per evitare la paralisi cittadina.

L’amministrazione Raggi aveva ampiamente sottovaluto la questione del sottosuolo, eppure se non si inizia ad intervenire da subito, casi come quello di viale Somalia saranno sempre più frequenti, fino ad arrivare a interi quartieri che resteranno chiusi e inagibili perché nessuno si è ricordato di mettere mano a ciò che è sotto di noi.

¹Lo sviluppo della rete fognante della città (comune.roma.it)

 

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