Covid: è emergenza manodopera nelle campagne. Ma nessuno ascolta giovani italiani pronti alla raccolta

Nel giorno di Pasqua raccogliamo il contributo di chi vorrebbe impegnarsi per un settore fondamentale per la nostra economia: l'agricoltura
L’azienda agricola Maccarese alla porte di Roma

 

Facciamo una pausa dalle questioni strettamente romane e condividiamo una lettera giuntaci dall’amica Beatrice. Viene affrontata una delle contraddizioni di questo momento di emergenza, con le produzioni agricole che aspettano di essere raccolte. Ogni anno in primavera arrivano in Italia 370 mila lavoratori stagionali, 107 mila  dei quali romeni, oltre a marocchini, indiani e albanesi. Quest’anno non possono o non vogliono venire per via del virus.
Vi sono però tanti italiani che vorrebbero contribuire al lavoro nei campi e che sono a casa a fare niente. Beatrice ha scritto a istituzioni e sindacati ma non ha avuto risposta. Ora ha lanciato una petizione. Qui di seguito il  suo resoconto.
 

 

Caro diarioromano,

 

Visto il mio interesse per l’agricoltura, ho seguito fin da subito la grave questione della mancanza di manodopera nelle campagne italiane.

 

Ho iniziato a chiedermi come mai il ministro Teresa Bellanova si stesse concentrando esclusivamente sulla manodopera straniera che viene nel nostro paese a svolgere lavori stagionali.

In primavera infatti, sarebbero dovute arrivare centinaia di migliaia di operai agricoli dall’est Europa, ma viste le limitazioni alla mobilità non è stato possibile.

Dopo aver chiesto all’UE di aprire i corridoi verdi per farli arrivare, e aver parlato con l’ambasciatore della Romania a Roma, queste persone comunque non vogliono spostarsi per via dei rischi che comporterebbe il viaggio, e le condizioni di vita negli insediamenti informali che fanno parte della realtà agricola italiana.

 

La campagna non si ferma e i proprietari delle aziende sono costretti ad abbandonare i raccolti che finiscono per marcire nei campi. Di fronte a questo scenario non ho potuto non chiedermi perchè non sia stato fatto un appello a noi giovani disoccupati che siamo a casa a far nulla.

 

Il 2 aprile ho trovato la piattaforma Agrijob di Confagricoltura, e mandato subito una manifestazione di disponibilità come lavoratrice; ho ricevuto una notifica automatica di ricezione dell’offerta ma ad oggi nessuna risposta.

 

Così ho deciso di scrivere una lettera che ho inviato al Ministro delle Politiche Agrarie, Teresa Bellanova, e all’Assessore all’Agricoltura del Lazio, Enrica Onorati, in cui chiedo il coinvolgimento dei giovani. Ho poi pensato di girare questa email anche a Confagricoltura, Coldiretti e Coldiretti giovani. Ma da nessuno di questi interlocutori ho ottenuto risposta.

 

Parlando con una giovane amica tedesca, sono stata informata della piattaforma attiva già da tempo in Germania per colmare il vuoto di operai agricoli con disoccupati e giovani; dice che funziona molto bene e lei stessa ha potuto candidarsi a supporto del proprio paese. Poi mi ha chiesto: “Ma perché non lo stanno facendo anche lì da voi? È un provvedimento logico, no?”, e a questa sua domanda non ho saputo rispondere.

 

La situazione è sicuramente molto più complicata di quanto possa immaginare, ci sono molte altre questioni importanti da risolvere tra cui la regolarizzazione dei tanti operai agricoli che lavorano in nero nelle campagne italiane. Un’iniziativa necessaria, che potrebbe trovare un risvolto positivo in queste circostanze, ma comunque da sola non sarebbe sufficiente a riempire i vuoti di personale.

 

Confrontandomi con altri amici italiani ho trovato consenso e interesse a rendersi utili in una tale situazione di urgenza. Così con un’amica, il 7 aprile abbiamo deciso di lanciare una petizione su Avaaz, per raccogliere supporto e provare a dare più visibilità all’iniziativa.

 

Abbiamo diffuso la petizione tramite email e social network, mandandola anche ad istituzioni come Confagricoltura o CIA (confederazione italiana agricoltori). Non abbiamo ricevuto nessun riscontro né supporto fino ad ora.

 

E intanto la primavera avanza, i raccolti maturano, la manodopera non arriva, e non sembra che il Paese ci voglia ascoltare.

 

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3 risposte

  1. Nei giorni scorsi ho letto di alcune proposte al riguardo: utilizzare i percettori di reddito di cittadinanza, quelli in cassa integrazione, regolarizzare in qualche maniera chi attualmente lavora in questo settore (soprattutto extracomunitari).
    Ma sembra che non interessi quasi nessuno: siamo impegnati a scannarci su ipotesi patrimoniali, MES, Eurobond, “colpa tua! No, Colpa tua”, “Colpa delle precedenti amministrazioni”, “colpa dei precedenti Governi”, ecc. ecc.

    1. Bravo Paolo, ha perfettamente ragione. Ci dicono che il virus è una guerra. Ma durante e dopo le guerre tutti si rimboccano le maniche, danno quello possono. Il caso segnalato da Beatrice è emblematico di quello che sta avvenendo in questo Paese in cui le risorse che vogliono lavorare non sono ascoltate. Sono tutti in attesa che un’entità superiore faccia sparire il virus come per magia per poi riprendere la vita di prima. Stiamo a casa che tutto si risolve?? Aspettiamo che Burioni o Ricciardi ci dicano che è passata la tempesta?? Non è così. Solo se ciascuno di noi darà il meglio ne potremo uscire. Per restare nel caso sollevato da Beatrice si può lavorare nei campi usando le precauzioni. Perché non darle ascolto?

  2. Da questo articolo non si capisce molto quali dovrebbero essere i motivi per cui non si considera la manodopera italiana. Alcune ipotesi potrebbero essere: si spera ancora nell’arrivo di manodopera a basso costo da altri paesi, quando l’emergenza sarà finita; non si crede nel numero degli italiani disposti a sporcarsi le mani, e forse ci sono anche stime a riguardo; non si vuole mostrare il modo in cui vivono questi stranieri durante il periodo della raccolta. Altre ipotesi?

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