Cosa fare della vela di Calatrava a Tor Vergata?

Alla proposta di Calenda di smontarla riciclando i materiali ha risposto Morassut suggerendo di completare un progetto che è ancora una straordinaria opportunità per Roma

Chi non conosce la vela di Calatrava a Tor Vergata?

Anche “quelli di Roma nord”, che a Roma sud non ci vanno mai, non possono non averla notata transitando qualche volta sulla Roma Napoli, tanto è imponente la sagoma della maggiore incompiuta di Roma, probabilmente d’Italia (se non d’Europa).

 

 

 

Ad aprile 2016 ne parlammo nell’ambito della rubrica “Città in rovina“, ma in questi giorni il tema è tornato d’attualità dopo una dichiarazione tranchant del candidato sindaco di Roma Carlo Calenda:

 

 

Soluzione: demolire e riciclare i materiali“, dice Calenda.

Una posizione a dir poco netta che però, affidata ad un tweet, non fornisce dettagli sulle possibili ipotesi alternative di completamento e mantenimento, né su quanto costerebbe l’abbattimento.

E dire che ci sarebbe sempre il progetto della professoressa Carini, per un completamento ed utilizzo parziale dell’opera, sulla base del quale nel 2018 (governo Gentiloni) fu firmato un protocollo d’intesa tra università di Tor Vergata, MIUR e Ministero delle Infrastrutture.

 

A Carlo Calenda ha risposto dopo qualche giorno Roberto Morassut, esponente del PD e assessore all’urbanistica nella giunta Veltroni che propose la realizzazione della città dello sport a Tor Vergata.

In sostanza Morassut riassume la storia del progetto, partito da un’iniziativa dell’università di Tor Vergata, proprietaria dei terreni, in collaborazione col Comune di Roma.

Un grande programma da realizzare in un comprensorio pubblico, con un piano attuativo approvato, nel cuore del distretto della ricerca e della innovazione scientifica metropolitana (CNR, Banca d’Italia, Enea, Osservatrio astronomico)“, scrive Morassut, programma che però si arena con Alemanno che decide di non investirci più.

Morassut ammette che al tempo si era già in ritardo rispetto ai Mondiali di nuoto che dovevano essere la prima utilizzazione dell’opera, ma prosegue: “… il progetto può concludersi a condizione di un grande sforzo e di un grande rigore amministrativo. Serve una amministrazione seria.“.

Alemanno non fu un’amministrazione seria, fa capire Morassut, il quale termina la cronistoria con un interessante mistero: “Il Comune si disinteressa completamente dell’opera, che rallenta, mentre il progetto esecutivo finale viene approvato dal Commissario per un costo (raddoppiato) di 630 milioni di euro: un mistero mai chiarito.

Contrariamente a Calenda, Morassut è convinto che il progetto debba ancora essere portato avanti, per le giuste ambizioni di Roma e perché ve ne sono le condizioni:

Quel programma poteva essere e potrebbe ancora essere una straordinaria opportunità per Roma, portando (insieme al Campus della Sapienza un po’ più a Nord, a Pietralata) funzioni pubbliche di eccellenza dedicate alla scienza e alla formazione, sovvertendo in meglio il profilo di tutta la periferia orientale, figlia sfortunata della grande immigrazione interna del dopoguerra.

 

Sollecitato dall’intervento di Morassut, Calenda pubblica allora un video in cui fa anch’egli la cronistoria del progetto, mostrando come esso sia passato dai 60 milioni iniziali ai 660 dell’ultima stima. Ecco in sintesi il racconto di Calenda:

Nel 2005 il sindaco Veltroni dà il via al progetto per la creazione della nuova città dello sport. Il piano prevede due palazzetti a forma di vela all’interno di un più ampio campus universitario. Il costo totale è 60 milioni di euro.

A dicembre 2005 il governo Berlusconi affida l’opera al commissario per i mondiali di nuoto del 2009. In pochi mesi il costo stimato raddoppia, fino a 120 milioni di euro.

Nel 2006 partono i lavori per un importo però che sale a 240 milioni di euro.

A inizio 2007 viene posata la prima pietra. Il tempo stimato per completare l’opera è di 2 anni, appena in tempo per i mondiali di nuoto, ma la data di fine lavoro è indicata invece per il 30 giugno 2011.

I lavori iniziano con grande lentezza e intanto il progetto subisce nuove modifiche che portano il totale di spesa a 323 milioni di euro.

A dicembre 2008 Alemanno si rende conto che i lavori non termineranno in tempo e sposta i mondiali di nuoto al Foro Italico, stornando 50 milioni di euro per rifare i vecchi impianti. Per mancanza di fondi i lavori delle vele vengono sospesi.

Riprenderanno nel 2011 in previsione di una possibile candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2020. Intanto la cifra per completare l’opera ha raggiunto i 660 milioni di euro, undici volte il prezzo iniziale.

Nel 2013 il cantiere viene abbandonato, dopo aver speso soldi pubblici per un totale stimato di 300 milioni di euro.

Il sindaco Marino decide di riconvertire la vela nella sede della facoltà di scienze naturali, per un costo di 80 milioni di euro. Ma neanche questo progetto vede la luce.

Nel novembre 2020 il governo Conte, con Gualtieri ministro dell’economia, inizia a parlare di uno stanziamento di 325 milioni di euro per completare l’opera. Lo stanziamento però sfuma e si procede a destinare solo 3 milioni di euro in tre anni per la manutenzione dell’esistente.

 

Nel video Calenda conferma che secondo lui il progetto di Calatrava non può essere portato avanti perché ha costi di completamento e anche di mantenimento assurdi. Secondo Calenda, meglio sarebbe utilizzare i fondi ancora disponibili per dotare finalmente l’area di Tor Vergata di una fermata della metropolitana.

 

Il video di Calenda riceve un’ulteriore risposta da parte di Morassut, il quale si chiede cosa c’entri il completamento della città dello sport col fatto che Tor Vergata non abbia una fermata della metro, chiarendo che in realtà il Piano Regolatore Generale lì prevede fermate sia della linea C che della A.

 

 

In conclusione, diremmo un’interessante interlocuzione che mostra due approcci agli antipodi per quello che è uno dei grandi problemi di Roma. Qualunque sia la strada che si dovesse scegliere infatti, il progetto della città dello sport di Tor Vergata costerà alla collettività un mucchio di soldi. Da una parte sarebbe bene che tante risorse portassero a qualcosa di utilizzabile da parte dei cittadini, ma che fosse anche sostenibile nel tempo; dall’altra non è pensabile continuare a buttare montagne di risorse su qualcosa che non si è sicuri potrà mai dare benefici alla collettività.

 

Istintivamente tenderemmo a preferire l’approccio di Morassut, perché dimostra visione e ambizione per Roma, anche se riteniamo ci debbano essere maggiori rassicurazioni sulla sostenibilità dell’opera una volta terminata.

Riguardo la proposta di Calenda, a nostro avviso andrebbe documentata meglio ponendo a confronto le diverse opzioni, quelle di completamento, parziale o totale, e quella di smantellamento. Non che l’ultima vada esclusa a priori, ma la considereremmo solo come ultimissima spiaggia, una volta costretti ad escludere tutte le altre.

 

L’estemporanea proposta di Calenda sulla vela di Calatrava ci ha ricordato un po’ quello che disse la Raggi delle Olimpiadi, ossia che Roma non poteva permettersele perché era necessario concentrarsi sulle urgenze del quotidiano.

I fatti hanno dimostrato quanto la Raggi si sbagliasse e come invece per una città complessa e problematica come Roma sia necessario tenere insieme una buona amministrazione spicciola con la giusta ambizione di una capitale con oltre 2700 anni di storia (e che storia!).

Alle scorse primarie del centrosinistra uno dei candidati, Giovanni Caudo, aveva coniato uno slogan molto efficace al riguardo: “Dal marciapiede al cielo“, intendendo che un buon governo per Roma dovesse necessariamente curare sia il piccolo del marciapiede che l’immenso del cielo.

Pur apprezzando il suo pragmatismo, consiglieremmo a Calenda di metterci un un pizzico in più di ambizione nelle proposte che avanza per Roma.


Con l’occasione vi mostriamo alcune immagini inedite ed esclusive degli interni della città dello sport e del suo tragico abbandono

 

 

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Una risposta

  1. 1. Il metodo del “gonfiaggio del costo”: sia Calenda che Morassut dovrebbero chiarire come sia stato possibile partire con una stima di 60 milioni ed arrivare ad una stima di 660 (non conlusiva ancora); si tratta di un metodo amministrativo che uccide il popolo, che sembra poter riprendere anche oggi, e che (sia Calenda che Morassut) dovrebbero cercar di estirpare, ancor prima di pensare a demolire e/o completare una comunque singola opera, qual e’ la Vela.
    2. Il metodo del “dammi un dito e mi prendo tutto il braccio”: (sia Calenda che Morassut) dovrebbero pure chiarire come sia stato possibile spendere 330 milioni pubblici (piu’ esattamente 380, con i 50 dei costi del trasferimento delle gare altrove) per arrivare, non affatto ad un’opera utile, ma ad un feto di futuro edificio, che nel frattempo e’ gia’ diventato rudere e che costa continuamente, senza mai rendere ne’ come incassi ne’ come servizio; e quali rimedi introdurre.
    3. Il metodo del “dopo di me il diluvio”: a quanto pare, chi ha disposto l’opera non ne ha fatto documentare prima i costi futuri inevitabili e prevedibili, sicche’ (sia Calenda che Morassut) dovrebbero altresi’ chiarire questa mancanza di informazioni sui costi di gestione e manutenzione, che ogni anno di degrado del feto di edificio produce: costi immediati di esborsi e costi futuri per demolizione e/o ripristino.
    4. Il metodo delle “promesse da marinaio”: chi ha partecipato alle promesse di condurre in porto l’opera per il campionato del 2009, fallite, e mi pare non ne abbia mai avuto alcuna negativa conseguenza nel frattempo, adesso prima di promettere futuri sviluppi dovrebbe fare pubblica autocritica, non per dire di aver sbagliato (so infatti che errare e’ umano) ma per farci sperare di aver chiarito dove stava lo sbaglio e quali ne fossero le cause e per spiegarci quali rimedi siano intervenuti a cambiare la situazione (altrimenti, perseverare e’ diabolico).
    5. Se Calenda vuol demolire tutto, lo capisco! Sarei anche d’accordo con Roberto Tomassi, che istintivamente preferisce la scelta opposta, perche’ il mio umano istinto e’ di salvare il malato e non di sopprimerlo; MA l’ipotesi della demolizione mi fa sperare di ritrovare la pace nell’animo, a fronte della frustrazione che ogni giorno mi infligge la vista (dalle mie finestre) dell’ambizioso edificio, promettente aspirante allo stato di massimo rudere ufficiale e prossimo Colosseo.
    6. Sia per demolire che per sviluppare occorre un progetto, vale a dire, un’opera di ingegneria (con un suo costo!) comprensiva di una relazione tecnica esplicativa e di accurate stime dei costi d’opera e dei successivi costi di gestione e manutenzione; altrimenti la semplice promessa, che sia di Calenda o di Morassut, restera’ vana.
    7. Uno o l’altro dei due progetti, od anche tutti e due, indubbiamente sono dovuti al popolo dalla mano pubblica, non potendo lo Stato ne’ il Comune sostenere che questo stato di degrado debba restare in corso e possa assurgere a normalita’.
    8. Per contro, l’attuale effettiva totale assenza di risposta al degrado e’ un debito insoluto, che consente ai personaggi desiderosi di pubblicita’ di ottenerla facilmente con vane promesse.
    Firmato, un contribuente.

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