Martedì scorso, con un emendamento al collegato della legge di bilancio della Regione Lazio, la categoria degli Urtisti, ovvero i venditori ambulanti di souvenir nati a fine ‘800, è divenuta ufficialmente patrimonio storico della città di Roma.

È stata RomaToday a dare tempestivamente la notizia riprendendo una nota del promotore dell’iniziativa, il consigliere regionale Enrico Cavallari.

Dice Cavallari che il Comune di Roma ha ora lo strumento necessario “per ripristinare lo stato di diritto della categoria, da tre anni costretta a lavorare in zone lontane dal flusso turistico. Un’ingiustizia che ha mortificato la storia centenaria di Roma nonchè la dignità e l’economia di 115 lavoratori“.

Toni apocalittici quelli del Cavallari il quale fa chiaramente riferimento allo storico spostamento che l’amministrazione Marino riuscì a fare nel 2015, quando spostò fuori dalle aree archeologiche e monumentali numerose bancarelle. Addirittura per il consigliere con lo spostamento di quelle indegne bancarelle dal Colosseo sarebbe stata “mortificata la storia centenaria di Roma“, mah …

Prosegue poi Cavallari nella sua nota:

Il Campidoglio provveda a stretto giro a ripristinare la mappa delle soste originarie degli urtisti qual era fino alla scellerata delibera del 2014 del sindaco Marino. Per oltre un secolo gli urtisti hanno lavorato legittimamente dentro al Colosseo, accogliendo peraltro i più grandi capi di Stato e personaggi illustri del mondo. Adesso al Colosseo devono rientrare“.

Hai capito che accoglienza per i capi di Stato e per i personaggi illustri? Nientepopodimeno che gli urtisti!

 

Quindi secondo Cavallari l’amministrazione comunale dovrebbe ora provvedere a ripristinare le schifezze mostrate dalle foto che seguono.

 

 

 

 

 

Chiaramente non è questo tipo di commercio che può essere stato dichiarato patrimonio storico della città di Roma, ma trattandosi di urtisti non può che essere l’originaria modalità con cui costoro operavano nelle aree turistiche. Un paio di foto per ricordarla.

 

Tradizionali urtisti in piazza S. Pietro

 

Tradizionali urtisti al Colosseo

 

Per capire chi sono e da dove vengono gli urtisti, riportiamo l’estratto di una pagina che tratta della tradizione degli urtisti a Roma:

 

Gli ebrei romani diventano ufficialmente urtisti con un editto pontificio di fine Ottocento che permette loro di vendere i rosari ai pellegrini cattolici. Durante il fascismo nasce il Sindacato Fascista Venditori Ambulanti: gli viene data una divisa e stampato sul berretto l’acronimo “SFVA”. Con le leggi razziali la situazione cambia, vengono ritirate le licenze ufficiali ma perfino con i nazisti in città, ormai abusivi, gli urtisti continuano a lavorare. Con l’arrivo dei turisti e dei pellegrini in visita ai Papi, da mestiere miserabile diventa una professione ambita. Il numero delle licenze è fissato a 63, tutti gli altri sono abusivi e nel svolgere l’attività rischiano multe, sequestri e perfino il carcere. Un gruppo di 52 abusivi, di religione ebraica, si scontra con i 63. Alla fine il Comune di Roma concede le licenze e i due gruppi si accordano su le postazioni: ai 63 rimangono le postazioni all’interno dei monumenti più importanti, incluso l’interno del Colosseo e San Pietro, agli altri i monumenti minori, le altre chiese e gli alberghi. Infatti, con una mancia ai portieri, riescono a intercettare le comitive. Negli anni Settanta chi ha la licenza riesce ad ottenere l’apertura di un banco.

 

Sottolineiamo l’ultima frase: “Negli anni Settanta chi ha la licenza riesce ad ottenere l’apertura di un banco.

Fino agli anni settanta del secolo scorso quindi gli urtisti operavano in maniera deambulante, letteralmente “urtando” i possibili acquirenti. Poi improvvisamente a qualcuno viene in mente di stabilizzarsi con un banco, chi in area archeologica e chi vicino a monumenti minori.

Ebbene parrebbe che le delibere con cui furono rilasciate quelle concessioni non contenessero il parere obbligatorio delle allora soprintendenze, per cui sarebbero provvedimenti gravemente viziati.

 

Sia come sia, a noi pare proprio che il consigliere Cavallari faccio un po’ il furbo. Da una parte si muove per far riconoscere il valore storico di una categoria commerciale che dalla fine dell’800 operava in maniera deambulante e poco invasiva, dall’altra, una volta riconosciuto tale valore, chiede a gran voce di ripristinare postazioni commerciali fisse che nulla hanno a che vedere con la tradizione degli urtisti.

 

Noi spereremmo che l’amministrazione comunale non cada in un giochetto tanto scoperto, ma considerato che in oltre due anni di governo di Roma costoro non sono riusciti a spostare postazioni ambulanti che gridano vendetta ogni santo giorno che vengono allestite, viene fortissimo il dubbio che così come la piccola ma agguerrita lobby degli urtisti è riuscita a smuovere la Regione Lazio, altrettanto ascolto potrebbe trovare in Campidoglio.

Di come il presidente della commissione Coia sia ricettivo delle istanze di tutte le possibili e peggiori lobby abbiamo avuto prove a non finire, mentre l’assessore Cafarotti non ha ancora dato segni di sé, facendo pensare che anche lui preferisca lo status quo, anziché proseguire nell’opera di pulizia inaugurata nell’ormai lontano 2015 dalla giunta Marino.

Non a caso un rappresentante della categoria degli urtisti così si è espresso subito dopo l’approvazione dell’emendamento di Cavallari:

… proprio per queste ragioni, siamo convinti che la sindaca Raggi, l’assessore al Commercio, Carlo Cafarotti e il presidente della commissione capitolina Attività produttive, Andrea Coia, ci convocheranno a stretto giro per ripristinare le postazioni di lavoro, scandalosamente spostate dall’ex sindaco Marino, partendo proprio dal Colosseo e ricostruendo lo storico binomio tra il monumento simbolo di Roma e la categoria degli urtisti, rispettivamente ‘patrimonio materiale’ (Colosseo) e ‘patrimonio immateriale’ (urtisti)“.

 

Facciamo che non si ristabilisce alcun binomio, se questo vuol dire riallestire delle indecenti bancarelli in aree archeologiche? Se proprio si volesse ricostituire il patrimonio immateriale costituito dagli urtisti, cosa di cui nessuno, a parte le poche decine di urtisti, sente alcuna necessità, gli si consenta di nuovo di fare gli urtisti, ossia di andare in giro con un piccolo contenitore appeso al collo.

Ci parrebbe questa una bella idiozia, ma se tradizione deve essere che tradizione sia.

Quello che è certo è che non subiremo inermi il ritorno delle bancarelle dove esse sono state rimosse. Cogliamo anzi l’occasione per sollecitare Cafarotti e Coia a darsi da fare per continuare il lavoro lasciato a metà, partendo dallo spostamento o cancellazione delle seguenti indegne postazioni ambulanti.

 

Ieri sera Cafarotti, in un comunicato, ha dichiarato “via la paccottiglia da zone di pregio e aree monumentali. Ciò è ancora più vero nel caso del Colosseo”. L’assessore spiega che non basta il parere della Regione Lazio per riportare gli urtisti nel centro di Roma. Vedremo se manterrà questo impegno, a partire proprio dalle bancarelle che si vedono qui sopra.

 

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