Stiamo per perdere l’unico bike sharing cittadino?

Solo pochi giorni fa abbiamo parlato della disastrosa situazione del bike sharing a Roma, dove il panorama sarebbe desolato se non fosse per il servizio a flusso libero che però oBike fornisce solo in una parte limitata della città.

Ebbene pochi giorni dopo è uscita in Italia la notizia che oBike sta praticamente chiudendo in tutti i 26 paesi in cui opera, a partire da quello che era il suo quartier generale a Singapore.

Noi abbiamo fatto qualche ricerca in rete e quello che è certo è la chiusura del servizio di oBike a Singapore. La compagnia ha chiarito che ciò non avrebbe avuto impatti sulle attività negli altri paesi, benché la cosa abbia sollevato più di un dubbio. oBike aveva infatti assicurato che sarebbe stato ancora possibile noleggiare le sue bici a Singapore tramite un altro operatore, il quale però ha confutato tale ipotesi facendo ritenere che la situazione complessiva della società sia tutt’altro che chiara.

C’è un altro articolo, da un sito internet tedesco, dove sembra che anche in alcune città in Germania oBike non paia essere così in salute.

 

L’articolo italiano che abbiamo indicato all’inizio così chiosa:

 

Cosa succede ora in Italia, dove il servizio opera fra l’altro a Torino, Milano, Roma e sulla costa romagnola scelta come vetrina privilegiata dell’iniziativa?

Allo stato attuale oBike opera con una società partecipata;  oBike Italia che tuttavia fa riferimento nel contratto di servizio a oBike Asia Pte. Ltd & OPG Asia Pte. Per questa ragione stanno cercando nuovi finanziatori per rilevare i codici delle app, le licenze di utilizzo e le biciclette.

Nelle prossime settimane si vedrà se l’operazione di salvataggio andrà in porto.

 

Dal che si evincerebbe che i problemi di oBike nella casa madre avrebbero ripercussioni anche in Italia e quindi a Roma.

 

È dell’altro giorno infine l’intervista al general manager di oBike Italia, Andrea Crociani, il quale da una parte conferma che bici, sistema operativo e app sono fornite in concessione dalla casa madre, la cui decisione di ritirarsi dal mercato pone qualche problema, ma dall’altra rassicura che il servizio in Italia andrà avanti.

Quello che non è chiaro è il come essendoci in sostanza due alternative: comprare il tutto dalla casa madre o sviluppare una propria piattaforma ex-novo. In entrambi i casi è ragionevole prevedere impatti sul servizio, soprattutto se non si riesciranno a trovare nuovi investitori (con la compagnia che sta anche pensando ad una possibile iniziativa di crowdfounding).

 

Abbiamo chiesto un commento a oBike Italia e la loro risposta è stata:

oBike Italia e oBike Singapore sono indipendenti l’una dall’altra.

 

Che non aggiunge e toglie nulla a quanto detto sopra.

 

Noi ovviamente ci auguriamo che l’unico sistema di bike sharing presente al momento a Roma rimanga ed anzi espanda ulteriormente l’area di copertura, visto che gran parte della cinta esterna della città è esclusa.

Rimaniamo in attesa del fantomatico regolamento promesso dall’assessore Meleo nell’ormai lontano novembre 2017 sperando che esso possa indirizzare alcuni dei problemi evidenziati nella gestione del bike sharing a flusso libero. Restiamo dell’idea che una possibile soluzione a tali problemi è il prevedere delle aree obbligate di sosta per le bici, evitando così che esse vengano lasciate nel luoghi più impensati e potendole in questo modo controllare meglio per evitare i tanti vandalismi di cui sono oggetto a Roma.

 

 

Ma soprattutto la nostra speranza, ahinoi alquanto vana, è che tutti questi elementi riescano a convincere il nuovo assessore al commercio Carlo Cafarotti a romprere gli indugi e procedere speditamente con la riforma dei cartelloni che include un robusto sistema tradizionale di bike sharing pagato dagli impianti pubblicitari. Un tale sistema potrà affiancare quello a flusso libero, ad esempio coprendo la parte di territorio cittadino non servito da oBike, riuscendo così forse a dare a Roma un decente servizio di bike sharing.

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