Quello che manca a Roma? Una vera agenda politica

La capitale post Covid si mostra fragile e senza prospettive. Il disastro delle attività economiche mentre la burocrazia è ancora impantanata

 

Nei prossimi mesi Roma è chiamata ad affrontare forse la peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi. Il Covid ha messo in evidenza tutte le fragilità strutturali della città, quelle di una Capitale che per troppi anni si è ripiegata su se stessa credendo di poter vivere solo attraverso il turismo. Superata l’estate, i primi dati emersi non sono affatto rassicuranti.

Nelle tre maggiori città d’arte italiane, Roma, Firenze e Venezia si è registrata una diminuzione dei ricavi pari al 70-90%, rispetto al periodo giugno-agosto del 2019. Dati confermati dalle ultime proiezioni dell’ISTAT che ha riportato, per quanto riguarda il settore alberghiero, nel secondo trimestre del 2020, un calo di fatturato dell’88%.

Cifre che diventano ancora più significative se si analizzano in termini assoluti nelle singole città.

A Roma, tra la scomparsa quasi totale dei turisti stranieri e la contrazione di presenze dei lavoratori dovuta allo smart working, il settore della ristorazione ha perso il 70% di fatturato; le gelaterie, rispetto al 2019, hanno segnato meno 80%; gli alberghi meno 85%; il 37% delle imprese ha dichiarato che saranno costrette a tagliare il proprio personale e 1 su 3 chiuderà definitivamente entro fine anno. Anche i marchi esteri hanno iniziato a lasciare la città e l’addio di Cityscoot è solo il primo campanello di allarme.

Una città, dunque, che si sta spegnendo e in cui servirà al più presto una politica di riprogrammazione, che guardi lontano e non mirata esclusivamente ai sussidi.

A Milano, per esempio, il sindaco Sala ha offerto ascolto alle singole categorie e poi si è impegnato per un rilancio delle attività commerciali, ridisegnando i criteri di collaborazione tra pubblico e privato, con l’obiettivo anche di snellire i processi burocratici. A Roma siamo fermi ancora a 80 autorizzazioni per aprire un’attività commerciale, fornite da uffici che in questi mesi hanno dimezzato gli orari di apertura o addirittura chiuso l’accesso al pubblico.

Il sindaco Sala si è concentrato poi sull’importanza dei lavoratori privati che gravitano nei quartieri cittadini e rappresentano la linfa di molti commercianti, in questa prospettiva sono stati aperti tavoli di dialogo per convincere le aziende a ridurre o rimodulare i vincoli dello smart working, i sussidi sono solo il corollario per rafforzare i più deboli e ossigenarne le casse.

Nella Capitale, di contro, mentre si disegnano piste ciclabile, nulla è stato programmato per il rilancio del commercio di prossimità con un’amministrazione attenta solo a bar e ristoranti e che pare abbia dimenticato il resto del settore. Vane sono state anche le richieste inviate al Campidoglio per sospendere il pagamento della TARI, la più alta in Italia. La risposta è stata solo una breve proroga della scadenza fissata al 30 settembre con la beffa, poi, di un maxi-acconto finale.

L’unico elemento che sembra andare contro corrente riguarda il valore degli immobili. Nel centro storico molti proprietari di affittacamere e B&B hanno deciso di riconvertire la propria attività in appartamenti con affitti a medio e lungo termine. Questa decisione ha innescato un processo di resilienza del centro che ha permesso ai residenti di vedere invariato il valore dei propri immobili, e anzi in alcuni casi di aumentarlo. A piazza di Spagna per acquistare una casa occorrono dai 14 ai 18 mila euro al metro quadro. Stiamo ovviamente parlando di una ristretta cerchia di imprenditori, o singoli cittadini, che riuscirà a superare quasi indenne questa crisi.

Non dobbiamo infatti dimenticare che i quartieri periferici stanno iniziando a pagare il prezzo più alto, nelle zone ad alta densità abitativa la chiusura definitiva delle attività, e dunque dei servizi, sta diminuendo il valore degli immobili. I cittadini che perdono il proprio lavoro non riescono più a pagare affitti e mutui (quasi il 40% dei romani non riesce a fronteggiare il costo di mantenimento di una casa), sono costretti a lasciare il quartiere spingendosi sempre più fuori la cinta del Grande Raccordo Anulare. I quartieri si impoveriscono e la città perde pezzi importanti del proprio tessuto sociale.

I romani sembrano dunque chiamati a fare i conti con una città che credevano di conoscere e con un’amministrazione totalmente assente. Quella che si sta delineando è una realtà che sarà difficile da sanare. L’unica arma a disposizione è pretendere al più presto  una nuova agenda politica, consapevole delle congiunture dettate dalla pandemia.

Quali sono allora i programmi per fronteggiare questa situazione? Vogliamo chiederlo direttamente al sindaco. Quali gli interventi per fronteggiare la crisi dei commercianti del centro storico? Quali iniziative sono state intraprese per aiutare le attività nelle periferie? La Capitale ha un “Piano Casa”? A che punto si è arenato il blocco del prezzo degli affitti? Anche in regime di smart working, quali sono le misure per garantire un efficiente servizio pubblico? Dove sono finiti i processi di snellimento alla burocrazia?

Il sindaco una settimana fa ha chiesto ai cittadini e ai giornalisti di essere “clementi” vista la situazione, purtroppo non possiamo esserlo, non abbiamo tempo.

 

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