La chiesa Meier: da simbolo di riscatto a cartolina di degrado

Al posto del candore promesso dai costruttori, il cemento è ora sporco e grigio. La speciale miscela mangiasmog non funziona. A chi spetta il restauro?

L’opera di Richard Meier è un vero e proprio monumento di architettura contemporanea, unico nel suo genere. Eppure, nonostante la sua incredibile storia, oggi, l’esterno della chiesa versa in condizioni pessime, che richiederebbero una particolare attenzione, non solo da parte della chiesa, ma soprattutto dai costruttori che ben 17 anni fa ultimarono i lavori. Ma andiamo con ordine.

Foto da archidiap.com

La chiesa, nota come “Dives in Misericordia”, venne realizzata in occasione del Giubileo del 2000, a seguito di un concorso internazionale del 1995, istituito nell’ambito del programma “50 chiese per Roma 2000”. Fu un concorso a inviti che vide la partecipazione dei più grandi architetti di allora, da Frank O Gehry a Santiago Calatrava, solo per citarne alcuni. Alla chiusura delle valutazioni dei progetti, nel 1996 vinse la prestigiosa gara l’architetto statunitense Richard Meier.

Lo scopo del concorso era quello di portare nel cuore della periferia romana un simbolo di rinascita e di speranza. A tal proposito venne individuata l’area di Tor Tre Teste. In un quadrante immenso, compreso tra via Prenestina vecchia e il quartiere Alessandrino, la nuova chiesa doveva fungere come punto di riferimento. Il progetto avrebbe dovuto esprimere la spiritualità del nuovo millennio e nello stesso tempo stravolgere l’architettura convenzionale della periferia, dando una scossa di avanguardismo agli immensi alveari abitativi amorfi e assopiti.

Foto da architectour.net

Con queste premesse, la progettualità di Richard Meier, definita da Manfredo Tafuri nel 1976, “un sistema di sistemi”, vinse a mani basse, proprio perché il progetto presentato riuscì a sintetizzare con un insieme di elementi, materiali e non, le intenzioni del Vicariato di Roma.

Tre grandi vele rigonfie di vento simboleggiano la barca di Pietro che naviga a vista alla ricerca di un sicuro approdo. Tre vele a sintetizzare la trinità. Una barca alla ricerca di uomini, ma anche una barca come metafora della Chiesa che doveva traghettare i suoi fedeli nel terzo millennio. E poi cinque campane, come i cinque continenti, pronte a suonare il richiamo da ogni angolo della terra (sono moltissimi i richiami alla simbologia, per un approfondimento si rimanda al seguente link https://www.diopadremisericordioso.it/la-chiesa/ ), dunque un vero e proprio veliero nel deserto.

Il 1 marzo 1998 venne posata la prima pietra. I lavori furono condotti da Italcementi e dalla Lamaro costruzioni. Ad oggi, la chiesa rappresenta ancora un punto di riferimento per ingegneri e architetti, vista la complessità dell’opera:

  • 300 tavole progettuali.
  • Vele composte da strutture autoportanti, 256 pannelli detti conci.
  • Ogni concio pesa 12 tonnellate.
  • Per assemblare i conci è stata realizzata una macchina unica al mondo, il “carroponte”, alta 38 metri, smontata al termine dei lavori. Il carroponte riusciva a sollevare il concio ad un’altezza massima di 26 metri.
  • 8 chilometri di cavi di acciaio di post-tensione.
  • 7,5 chilometri di barre di acciaio di post-tensione
Il carroponte durante la fase di costruzione, foto da web.archive.org

 

I lavori, dopo una lunga serie di vicissitudini, vennero ultimati nel 2003. Per volontà di papa Giovanni Paolo II, la chiesa prese il nome della sua seconda enciclica, del 30 novembre 1980, “Dives in Misericordia”, nome successivamente modificato dal Vicariato in “Dio Padre Misericordioso”.

Foto da web.archive.org

Ma quello che rese l’opera ancora più unica fu il materiale di costruzione dei pannelli. Vennero infatti utilizzate 2.600 tonnellate di marmo bianco di Carrara. Il marmo venne poi macinato e miscelato con 600 tonnellate di cemento bianco TX Millenium, un particolare cemento additivato con il biossido di titanio. Teniamo a mente questo passaggio perché sarà il punto dolente di tutta la vicenda che stiamo narrando.

Richard Meier volle fermamente che la chiesa spiccasse di un bianco lucente che non avrebbe mai perso vigore negli anni. Disse Meier a riguardo del colore bianco: “Il più bello in assoluto, perché dentro di esso si possono vedere tutti i colori dell’arcobaleno. Il biancore del bianco non è mai solo bianco; è sempre trasformato almeno dalla luce e da ciò che sta cambiando; il cielo, le nuvole, il sole e la luna”.

Un’utopia disporre di un colore che non sarebbe mai invecchiato? A quanto pare no. In suo soccorso venne proprio Italcementi che in quegli anni stava realizzando un cemento mangia smog autopulente che non avrebbe mai perso vigore. Il prodotto in questione è il TX Active ®, un cemento in grado di attivare un processo fotocatalitico:

 “un processo naturale per cui, grazie all’azione della luce naturale o artificiale, una sostanza (chiamata fotocatalizzatore) attiva un forte processo ossidativo che porta alla trasformazione di sostanze organiche e inorganiche nocive in composti innocui. TX Active ® è quindi un acceleratore dei processi di ossidazione già esistenti in natura, favorisce una più rapida decomposizione degli inquinanti e ne evita l’accumulo in superficie” (descrizione ripresa dal sito dell’azienda).

Brochure dedicata al TX Active ®

 

Stando alle informazioni tecniche rilasciate sul sito dell’azienda, questo processo dovrebbe pulire la struttura su cui è adoperato, uccidere i batteri, purificare l’aria e ridurre i cattivi odori. Un materiale assolutamente innovativo, fiore all’occhiello dei produttori, tanto da vincere riconoscimenti e premi internazionali. Nella stessa brochure dedicata, la chiesa Meier viene fotografata nel suo bianco lucente e stilizzata quasi a diventare un simbolo del prodotto stesso.

 

Purtroppo, la realtà dei fatti è totalmente diversa. L’esterno della chiesa a distanza di anni ha perso gradualmente il colore originario, si presenta sporca e ricoperta di smog, i giunti di metallo sono arrugginiti, nelle fughe dei pannelli si è infiltrata l’umidità che dall’interno ha iniziato a rovinare il cemento facendone cadere i pezzi a terra.

Di certo, non era questo l’obiettivo dei costruttori né tantomeno del Vicariato, perché in questo momento a pagarne le conseguenze sono i cittadini che dopo 17 anni si ritrovano con una chiesa che, invece di portare bellezza, ha portato in periferia degrado e noncuranza. Ed è proprio di noncuranza che siamo costretti a parlare, perché nel momento in cui una struttura inizia a mostrare dei segni di cedimento si dovrebbe intervenire prontamente, soprattutto se l’opera in questione rientra tra una delle poche attrattive contemporanee realizzate in periferia.

Al momento non sappiamo chi dovrebbe intervenire e perché non intervenga: la CEI? La Sovrintendenza?

Di certo, il Municipio potrebbe intervenire per smuovere quello che sta accadendo e pretendere dei chiarimenti. La stessa Italcementi dovrebbe essere informata dell’attuale situazione, perché, da una parte, l’azienda dovrebbe essere responsabile di un prodotto che non ha garantito quello che prometteva, dall’altra perché le condizioni attuali di degrado creano un enorme danno d’immagine. Difatti, è sufficiente cercare la chiesa su Google Maps per ammirarne lo smog e le crepe accumulate sui pannelli: immagini in netto contrasto con la brochure del prodotto.

Qualcosa, dunque, durante la realizzazione non ha funzionato; andrebbero effettuate dell’indagini tecniche per capire cosa sia andato storto nella miscelazione dei materiali o nella fase di assemblaggio dei pannelli. Per fortuna, l’interno della struttura, al riparo dalle intemperie, è riuscito a mantenere il suo colore (anche se iniziano a intravedersi dei segni di cedimento), mostrando ai fedeli tutta la sua bellezza, il suo gioco di luci, la sua razionalità.

Il veliero, approdato in periferia nel 2003, era un vero e proprio faro, aveva dato l’illusione che qualcosa potesse cambiare, che il riscatto potesse nascere anche da tre vele in cemento; ma, in realtà, il vento ha soffiato come sempre su un castello di carta, che negli anni ha mostrato il suo volto e i cittadini si sono ritrovati a convivere con un degrado questa volta d’importazione, che mal digeriscono.

E quindi valgono davvero le parole di Meier: “Il biancore del bianco non è mai solo bianco; è sempre trasformato…”, purtroppo anche dalla noncuranza.

Esercito italiano durante le fasi di sanificazione contro il Covid-19, foto da abitarearoma.it

 

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2 risposte

  1. A suo tempo, nella rivista ufficiale della Congregazione salesiana – http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2004&m=4&doc=6128 – ho scritto quanto segue.
    “Tre grandi vele, gonfie di vento, imprimono movimento alla luminosa struttura. Chiaro il senso: la Chiesa non è chiusa nell’immobilismo, ma traghetta i millenni verso la grande Luce che non ha tramonto. E dunque, non è una Chiesa orgogliosamente arroccata nella sua verità, ma una Chiesa missionaria veleggiante verso la Verità Suprema. Come nelle antiche cattedrali, anche in questa non c’è risparmio di ricerca, di genio, di materiali, di vertigine. Il fatto di essere nell’ultima periferia di Roma, a Tor Tre Teste, costruita in mezzo ai grandi condomini, punto di riferimento luminoso per i palazzoni che la attorniano per i ¾ della superficie, è quasi un invito ai condómini a salire a bordo e veleggiare incontro alla Verità”. Il degrado di oggi è un colpo al cuore dei cristiani, dell’arte, della bellezza…

  2. Era prevedibile che un brevetto senza storia avesse esiti di scontato degrado. Altri architetti molto più concreti e
    previdenti hanno usato lastrine di ceramica , molto più resistenti e refrattarie allo sporco e alla usura ( Gaudì , Utzon,
    Giò Ponti ……) . Un materiale inalterabile naturale in assoluto e per di più bianco, non esiste. Prova ne sia che è necessaria una manutenzione anche per pietre resistenti come la pietra d’Istria o il botticino , tanto più oggi con aria
    inquinata da una serie infinita di agenti corrosivi prodotti e immessi nell’atmosfera dalla irresponsabilità umana.
    In alternativa , forse , la posa di lastre in vetro con finitura bianca interna , opportunamente sagomate secondo le fughe dei pannelli di cemento avrebbero sicuramente evitato l’attuale sgradevole sensazione di ” naufragio ” e di
    abbandono della bella chiesa di R. Meier.

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