Il ‘Bonus affitto’ resta una chimera. Il ritardo colpa del Campidoglio

Solo 20 impiegati per vagliare 49mila domande di famiglie in difficoltà per il Covid. Approvati appena mille contributi che neanche sono stati erogati

 

Torniamo a parlare dell’emergenza abitativa a Roma, un tema cui non ci si può sottrarre soprattutto dopo la denuncia del senatore e segretario del Lazio del PD Bruno Astorre che ha presentato la settimana scorsa un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, sui ritardi del Campidoglio nell’erogare il bonus affitto alle famiglie più disagiate.

In piena pandemia la Regione Lazio aveva erogato al Comune di Roma un fondo pari a 12 milioni di euro da ridistribuire alle famiglie economicamente più fragili, per alleggerirle del peso del canone di affitto, soprattutto a fronte di una riduzione dei redditi del 30%.

In 6 mesi il Comune di Roma è riuscito a lavorare soltanto 3 mila pratiche su 49 mila domande presentate. Solo per un migliaio di famiglie è stato avviato il mandato di pagamento, di 245 euro, che ad oggi non è ancora arrivato.

Alla base di questo ritardo sembra ci sia il solito pachiderma burocratico che ha inceppato diversi uffici, aggravato questa volta da una grave carenza di personale. L’ufficio competente ha a sua disposizione soltanto 20 impiegati coinvolti nel controllo della situazione patrimoniale delle famiglie, nella revisione delle pratiche presentate e nell’elaborazione del mandato di pagamento.

L’ex direttrice del Dipartimento Patrimonio e Politiche Abitative, Valeria Minniti, presentò le sue dimissioni proprio per la carenza di personale. Aveva richiesto un ampliamento di organico pari a 50 unità, ne furono inviati soltanto 12 a cui il comune ne sottrasse 4 per impiegarli come istruttori culturali.

Il Campidoglio, dunque, da una parte, in 6 mesi è stato così miope da non riuscire a tamponare la carenza di organico, soprattutto di fronte un’emergenza per la città di tale portata, dall’altra è vittima di una burocrazia e di una lotta intestina tra uffici che non riesce a sanare.

Questa realtà lascia ancora più interdetti dopo aver appreso che su 24 mila dipendenti comunali ben 16 mila hanno richiesto l’aumento di stipendio. La motivazione dei sindacati ruota attorno al taglio dei buoni pasti e degli straordinari mancati, soprattutto per coloro che sono passati in regime di smart working e tra questi rientrano anche i travet impiegati nel “bonus affitto”.

Non si vuole di certo fomentare uno scontro di classe, anche le richieste dei lavoratori vanno ascoltate, ma in questo particolare frangente il comune doveva intervenire prontamente dando la priorità alle famiglie in difficoltà che da mesi attendono il loro bonus, avrebbe poi dovuto dialogare con i sindacati e far rientrare il malcontento dei dipendenti pubblici; i bonus pasti e gli straordinari ammonterebbero ad un aumento di stipendio di 60/70 euro mensili.

Non operando in nessuno di questi due fronti il risultato è stato solo quello di aumentare un pericoloso malcontento sociale, buttando nuovo fango su una classe di lavoratori che purtroppo non gode di particolare stima.

La burocrazia romana attende da troppi anni una vera riforma, il suo funzionamento è costantemente messo in crisi, e ora con la comparsa improvvisa di nuovi regimi lavorativi sembra sia entrata in un preoccupante cortocircuito.

Intanto gli affitti vanno pagati, e le tasse, come la Tari, sono arrivate puntuali senza nessuna nuova proroga.

La parola adesso al Ministro degli Interni, che nonostante abbia a più riprese denunciato il pericolo di infiltrazioni mafiose proprio nel pagamento di affitti e mutui, dovrà chiedere al primo cittadino di Roma il perché non sia stato fatto nulla di fronte a una tale congiuntura di eventi.

 

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