Da Torvaianica al Verano: l’anno che a Roma fu due volte Natale

Il romanzo, firmato da Roberto Venturini, ci riporta ai fasti del Villaggio Tognazzi degli anni '60. Ma poco dopo tocca fare i conti con la realtà disgraziata dei protagonisti del nostro tempo

Oggi ci prendiamo una pausa dalla saggistica e vi presentiamo uno dei romanzi entrato nella dozzina del premio Strega 2021. Parliamo del libro di Roberto Venturini intitolato “L’anno che a Roma fu due volte Natale”.

Nei titoli in gara, Roma e il suo hinterland sono entrati con prepotenza in alcune storie pubblicate, ma quello che rende davvero unico nel suo genere il romanzo di Venturini è proprio la scelta delle ambientazioni in cui i personaggi, una disperata armata Brancaleone, si muovono. Non abbiamo la città nelle sue bellezze ma due poli estremi: da una parte il litorale di Torvaianica, dall’altra il cimitero del Verano, 50 km di distanza che tratteggiano tutto il vuoto umano e sociale che la capitale è in grado di innescare. Una città che non compare mai, se non filtrata attraverso le parole dei protagonisti, il dialetto, il turpiloquio.

In questa estrema periferia una donna, Alfreda, depressa, obesa e accumulatrice seriale, vive insieme al figlio Marco in una villetta di Torvaianica che l’Ufficio d’Igiene cerca di portarle via. Nella sua vita ormai devastata cerca conforto nella ripetizione ossessiva della quotidianità, ma soprattutto nel ricordo del suo passato.

Un passato legato in maniera indissolubile al Villaggio Tognazzi e al bar che Alfreda gestiva insieme a suo marito. Qui negli anni ‘Settanta il famoso attore iniziò a organizzare dei tornei di tennis all’interno della sua villa. Così quel limbo di spiaggia si trasformò in breve tempo in un punto di ritrovo per attori, giornalisti, personaggi importanti del jet set romano e nazionale.

Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Franca Bettoja e Luciano Salce, torneo di tennis al Villaggio Tognazzi-Torvajanica 1968 (foto da artmagazine.it)

 

Il bar di Alfreda cavalcò l’onda del successo del Villaggio, frequentatissimo da tutti, fu un laboratorio antropologico di ciò che stava avvenendo a pochi passi da Roma. Un bar in cui tutti si incontravano, compresi terroristi, brigatisi, malavitosi, spacciatori. Storie di vita quotidiana, dalle stelle dello spettacolo alla filosofia del tirare a campare di molti disgraziati.

Ma quella storia è finita e Alfreda non vuole capirlo, ci penserà allora il figlio Marco a farle cambiare idea, anche perché sulla villa incombe lo sfratto. Alfreda capisce che deve arrendersi al suo inesorabile declino fisico e mentale, accetta di farsi aiutare nel ripulire e rimettere in sesto la casa, ma sul più bello irrompono di nuovo i fantasmi del suo passato. Alfreda avanza una richiesta chiara ed esplicita: deve prelevare una bara dal cimitero del Verano, lo deve a una cara amica e Marco non può tirarsi indietro. Alfreda prima di lasciare tutto e tutti deve ricompattare una grande storia d’amore.

Il figlio messo alle strette dallo stato mentale della madre non può che accettare, chiederà così aiuto ad altri due sbandati come lui, vecchi amici di Alfreda, un trans detto “Er donna”, il trans più ambito della Pontina, e Carlo un vecchio pescatore. Quando l’impresa prende il via il lettore si troverà catapultato nelle frustrazioni dei personaggi, nel loro provincialismo, nella loro limitatezza, nella loro voglia di riscatto da quella vita senza sbocchi, ma solo ripiegata su se stessa. Vite che entreranno dentro Roma solo per commettere un furto, per assecondare una vecchia malata di mente convinta di ridare l’amore a una amica. Arrivati al cimitero si scontreranno con altre realtà, molto più grandi e complicate di loro. Niente però riuscirà a farli desistere, la fuga dalla realtà esercita una forza di gravità troppo potente. E in quella precisa circostanza l’ossessione che stessero finalmente realizzando qualcosa di grande nella loro vita ebbe la meglio.

Roberto Venturini (già sceneggiatore della pluripremiata serie web che ha ispirato il fortunato esordio letterario di Tutte le ragazze con una certa cultura hanno almeno un poster di un quadro di Schiele appeso in camera [SEM, 2017]vincitore del Premio Bagutta Opera Prima) torna con un romanzo che parla a diverse generazioni, strizzando un occhio soprattutto alla sua di generazione, quella cresciuta nel mito degli spot pubblicitari e della cultura pop degli anni ’90 (forse i richiami nel testo sono troppo invadenti e ripetitivi).

Basta tutto questo per aspirare al premio Strega? Di certo la sua opera, sapida al punto giusto, ha il merito di aver ricostruito un palcoscenico unico nell’attuale panorama, in cui gli attori, indossando delle maschere grottesche, interpretano una favola nera, malinconica, ma nello stesso tempo reale. Resta solo l’amaro in bocca per alcuni aspetti non approfonditi, a partire da elementi fortemente neorealisti, aperti come una parentesi che non si chiude mai davvero al punto giusto.

Marco pensò all’erba di San Giovanni, poi si accese una sigaretta e si ricordò che a breve avrebbe dovuto raggiungere l’entrata dove lo stavano aspettando gli amici suoi. Prima però si sedette sulla tomba per riposare, mentre il buio accendeva le lucine votive e sembrava fosse arrivato il Natale.

Buona lettura!!

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