Cosa insegna la storia dello stadio della Roma a Tor di Valle

Giunte le condanne in primo grado, è utile ricordare i gravi rischi che erano stati prospettati per le modifiche al progetto e che l’amministrazione capitolina ignorò

Cominciamo con una notizia di qualche giorno fa e con una premessa.

La notizia è che si è concluso il primo grado del processo sullo stadio della Roma di Tor di Valle ed è stata emessa la condanna al carcere per, tra gli altri, l’ex presidente dell’Assemblea Capitolina Marcello De Vito.

La premessa è che, nello spirito garantista che ci ha sempre distinti, continueremo a considerare De Vito innocente fino all’ultimo grado di giudizio; ci auguriamo anzi che alla fine egli riesca a dimostrare la sua estraneità ai fatti, perché vorremmo davvero evitare di dover contemplare negli annali romani un presidente dell’Assemblea Capitolina condannato in via definitiva per corruzione.
Allo stesso tempo ribadiamo però la censura che facemmo a De Vito quando fu arrestato, per non aver voluto immediatamente separare le sue sorti giudiziarie dallo scranno più alto dell’aula Giulio Cesare: quella rimane una sua grave responsabilità e speriamo che nessun altro in futuro vorrà permettersi di portare l’Assemblea Capitolina su un banco degli imputati.

 

Richiamata la notizia e fatta la premessa, partiamo dall’assunto che la condanna di alcuni imputati in primo grado fornisce senza dubbio una qualche maggiore fondatezza alle tesi dell’accusa, implicando che le procedure seguite per la modifica del progetto originario dello stadio della Roma previsto a Tor di Valle possano non essere state del tutto cristalline.
Detto delle responsabilità penali di De Vito e degli altri imputati, che dovranno ulteriormente essere valutate nei successivi gradi di giudizio, vogliamo qui ricordare i segnali di allarme che al tempo furono lanciati sulle modifiche di un progetto che, sia dal punto di vista procedurale che nel merito, apparvero molto preoccupanti fin dall’inizio.

 

Nel nostro piccolo vogliamo ricordare quanto scrivemmo dell’imbarazzante, a nostro avviso, spettacolo in cui l’allora sindaca Raggi si produsse per annunciare, nel febbraio 2017, che avevano trovato un nuovo accordo con la società promotrice del progetto. Come non preoccuparsi, pensammo, di un pugno di poco competenti (se non proprio incompetenti) che stravolge in poche ore un progetto da centinaia di milioni di euro costato anni di studi e contrattazioni?

 

Ma ancor di più vogliamo richiamare la lettera aperta che Giovanni Caudo, assessore all’urbanistica nella giunta Marino nonché regista del progetto dello stadio a Tor di Valle, inviò all’allora presidente dell’Assemblea Capitolina, Marcello De Vito, elencando i tanti gravi problemi che il nuovo progetto presentava, con un’evidente sproporzione tra l’interesse pubblico, che risultava gravemente diminuito, e l’interesse del privato proponente che invece ne usciva aumentato di molto.

Il prof. Caudo, attualmente presidente della commissione PNRR dell’Assemblea Capitolina, ha voluto nei giorni scorsi ricordare quella lettera sulla sua pagina Facebook, lettera che evidentemente rimase senza risposta da parte di De Vito ma venne ignorata anche da tutto il resto dell’amministrazione capitolina, nonostante contenesse rilievi tutt’altro che insignificanti o infondati.

 

Questo il testo (e qui il post) con cui il presidente Caudo ha richiamato la lettera inviata nel giugno 2017:

“Era l’8 giugno del 2017, quasi 7 anni fa, quando inviavo una lettera aperta all’allora Presidente dell’Assemblea Capitolina On. Le Marcello De Vito nella quale denunciavo i rischi che si correvano a seguito delle modifiche apportate alla delibera della Giunta Marino, la 132 del 2014:

“La rivisitazione del progetto così operata configura dei chiari ed evidenti vantaggi al proponente in termini di accresciuti profitti, stimati in diverse decine di milioni di euro. Si consideri poi che questo maggiore vantaggio per il proponente avviene a fronte di una sostanziale riduzione per Roma Capitale della patrimonializzazione in opere che consolidano il pubblico interesse. […] In questo caso mi permetto di segnalare che si sta conseguendo come esito una netta ed evidente contrazione dell’interesse pubblico, rispetto alla delibera 132/2014, a fronte di una altrettanta chiara ed evidente affermazione dei profitti del proponete privato, a scapito per altro dei livelli qualitativi e delle contestualità di funzionamento delle infrastrutture pubbliche.”
A distanza di anni e alla luce delle notizie di cronaca di questi giorni, potremmo dire che era già tutto scritto. Ma non c’è da essere contenti, a pagare è stata soprattutto la Città.”

Particolarmente significativo abbiamo trovato l’incipit del post del 2017 in cui Caudo dava notizia della lettera: “A seguire il testo di una nota sul contenuto della nuova delibera per la conferma della pubblica utilità per l’intervento di Tor di Valle che ho inviato questa mattina al Presidente dell’Assemblea Capitolina On.Le Marcello De Vito.

E’ lunga ma i guai in arrivo lo sono di più.
E’ lunga ma i guai in arrivo lo sono di più.
Viene da chiedersi se Caudo avesse al tempo doti divinatorie, tali da prevedere gli enormi guai a cui si stava andando incontro, o, più semplicemente, se abbia applicato il buon senso, insieme alla sua profonda conoscenza della materia, per provare a mettere in guardia l’amministrazione Raggi da quello che si stava rischiando di combinare.

La mancanza di ascolto e discussione nei confronti dell’opposizione, ma anche dei cittadini tutti, fu uno dei tratti distintivi dell’amministrazione Raggi e noi siamo convinti che se invece ci si fosse aperti al confronto la città si sarebbe risparmiata tanti problemi, tra cui probabilmente lo sconclusionato intervento sul progetto stadio della Roma ma anche, per fare un altro esempio, i drammatici ritardi su tutte le infrastrutture della mobilità che ancora stanno paralizzando Roma.

 

Purtroppo non possiamo non prendere atto che una chiusura simile al confronto pubblico la sta attuando anche l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Gualtieri. Basti pensare alla vicenda del termovalorizzatore (TMV), prima escluso in campagna elettorale e poi improvvisamente tirato fuori dal cilindro presentandolo come la soluzione definitiva a tutti i problemi dei rifiuti a Roma.
Ebbene, pur con tutte le differenze col caso del progetto dello stadio (non vogliamo neanche lontanamente pensare che possano esserci rilievi illeciti nel progetto del TMV!), sul TMV sono stati sollevati dubbi non tanto sulla sua utilità, bensì sulla capacità prevista e sulle condizioni a cui Roma Capitale si obbliga per 30 anni con la società che costruirà e gestirà l’impianto.

Noi abbiamo formalizzato i nostri dubbi in un recente articolo, ma anche l’associazione Carte in Regola ha chiesto chiarimenti sul progetto, non per boicottarlo ma per avere rassicurazioni sul fatto che esso non si configuri come l’ennesimo grosso affare per il privato di turno a spese della collettività.

Peccato che i dubbi sollevati non siano stati presi in considerazione dall’amministrazione capitolina e quindi che si vada avanti con un progetto che rischia di rivelarsi un pessimo affare per Roma.

Perché, ci chiediamo, a Roma non si riesce mai a fare un dibattito pubblico sui temi più importanti, con l’amministrazione capitolina che si espone al confronto con i cittadini dimostrando la bontà delle proprie iniziative?

Perché dobbiamo continuare ad assistere alle tifoserie contrapposte, l’una che attacca pregiudizialmente l’amministrazione in carica, spesso senza elementi validi, e l’altra che difende il governo cittadino anche quando esso è oggettivamente indifendibile?

 

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