Carceri: i vaccini non bastano a migliorare le condizioni dei detenuti

I penitenziari romani tra i più affollati del Paese. Una condizione inumana che impedisce il reinserimento nella società. L'iniziativa di Rita Bernardini

 

A un anno esatto da un nostro articolo sulla situazione delle carceri romane, di fronte al dilagare della pandemia sono iniziate le prime somministrazioni dei vaccini per tutti i detenuti e gli operatori penitenziari.

Nonostante l’arrivo del vaccino sia un importante risultato raggiunto per tutelare la salute dei carcerati e degli agenti in servizio, la situazione all’interno degli istituti penitenziari italiani resta drammatica e sconcertante.

Da settimane Rita Bernardini (presidente di Nessuno tocchi Caino – Spes contra Spem e consigliere generale del Partito Radicale) ha intrapreso un’iniziativa non violenta per denunciare costantemente la condizione dei carcerati. Passeggiando, sotto la sede del ministero di Giustizia in via Arenula, insieme a ex detenuti, solleva alcune delicate questioni della realtà penitenziaria. L’ha chiamata “Memento” per ricordare al Guardasigilli che per lui è un obbligo intervenire per interrompere i trattamenti degradanti nelle carceri.

Rita Bernardini con l’avv. Giuseppe Rossodivita

 

In Italia vi sono attualmente 60 mila detenuti stipati in strutture che possono garantire una capienza ufficiale di 47 mila unità. Il sovraffollamento delle celle, denunciato ogni anno delle associazioni di volontariato e dagli osservatori impegnati in attività di monitoraggio, resta ancora il primo ostacolo da superare per garantire il rispetto della dignità umana.

Molti penitenziari non rispondono più ai normali requisiti di sicurezza: andrebbero ammodernati gli impianti sanitari e quelli termici che periodicamente collassano lasciando migliaia di persone al freddo e al gelo anche nei mesi invernali, situazione sofferta persino dai bambini fino ai 6 anni che vivono in carcere con le loro mamme.

Un tasso di affollamento così elevato impedisce ai direttori qualsiasi attività di manutenzione ordinaria e straordinaria, e nello stesso tempo innesca un pericoloso vortice di situazioni per cui i detenuti non riescono a svolgere attività di recupero e integrazione, si sentono abbandonati e non percepiscono la presenza dello Stato. Il tasso di recidiva, infatti, risulta molto elevato: quasi il 70% degli scarcerati torna in prigione dopo un anno di reclusione (scende al 20 se l’ex detenuto ha la possibilità di trovare un impiego ed è addirittura solo dell’1% se lavorava già durante la detenzione. Questo dimostra quanto imparare o iniziare un mestiere in carcere sia fondamentale per il reinserimento).

La nostra città non fa eccezione anzi gli istituti penitenziari romani rientrano tra i più affollati del Paese (dati Regione Lazio, aggiornati al 28 febbraio 2021):

  • Istituto G. Stefanini Rebibbia femminile: 259 posti disponibili, 308 detenuti presenti.
  • Istituto R. Cinotti Rebibbia N.C.1: 1162 posti disponibili, 1298 detenuti presenti.
  • Rebibbia: 330 posti disponibili, 329 detenuti presenti.
  • Regina Coeli: 630 posti disponibili, 893 detenuti presenti.

Per  quanto riguarda il tasso di sovraffollamento, il Lazio è tra i primi,  occupando la fascia tra il 115% e il 125%.

Dei 5.692 detenuti, il 16,7 % è in attesa di primo giudizio, superando persino il tasso nazionale del 16,5%.

Qualche giorno fa abbiamo raccolto il racconto amaro di un avvocato in visita a un suo cliente recluso in un istituto laziale. Come riportato dal legale, durante il colloquio il suo cliente sembrava turbato. Dopo alcune insistenze è emerso che i riscaldamenti non funzionavano da giorni e di notte la cella si trasformava in una ghiacciaia. Aveva così chiesto la possibilità di una seconda coperta, ma nessuno ha dato seguito al suo appello. Alla fine del colloquio l’avvocato gli ha lasciato il suo cappotto per garantirgli, tra lo scoramento generale, quella coperta in più che aveva chiesto.

Ora, ci domandiamo quali sarebbero stati i pensieri contrastanti dell’avvocato se uscendo dall’Istituto avesse incrociato le dosi di vaccino destinate ai detenuti: come può uno Stato garantire l’approvvigionamento di un vaccino e poi non riuscire a garantire una seconda coperta? Come può farsi garante della dignità dei detenuti se non riesce neppure a manutenere gli impianti di riscaldamento?

La realtà delle carceri italiane appare come le due facce della luna, una in piena luce, una totalmente in ombra. Una crediamo di conoscerla perché possiamo vederla, e ci convinciamo di controllarla, l’altra la ignoriamo totalmente, sappiamo che esiste, ma non vogliamo indagarla davvero, perché forse metterebbe a repentaglio le nostre convinzioni, smaschererebbe molte realtà che potrebbero far vacillare i principi stessi del concetto di detenzione e rieducazione.

Servirebbe allora una grande mobilitazione politica e sociale, ispirata dai valori di uno stato liberale, garantista ma soprattutto progressista, in grado di attivare le migliori energie per promuovere una drastica riforma carceraria che metta in primo piano la condizione umana delle persone detenute, affinché riescano a reinserirsi davvero nella società, forti di aver scontato la pena all’interno di strutture in cui i loro diritti sono rimasti saldi e inviolati.

 

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