Bolkestein: un’occasione irripetibile per Roma

È possibile pensare per Roma un volto pulito, ordinato e regolare delle attività su strada come una qualsiasi altra capitale europea?

Man mano che ci avviciniamo al 2017, aumentano le discussioni e le polemiche sull’applicazione della direttiva Bolkestein (la 123 del 2006) al commercio su area pubblica, invece che sull’opportunità che essa rappresenta per la Capitale. Ne ha finalmente parlato ieri anche l’ex assessore Marta Leonori in un post su Facebook.

Al contrario di quanto affermato recentemente dalla nuova amministrazione, a Roma un censimento delle attività operanti esiste. È stato realizzato tra il 2014 e il 2015 e i risultati furono riportati da alcuni quotidiani: circa 5.000 operatori nei mercati giornalieri, poco meno in quelli settimanali, più di 2.000 ambulanti tra bancarelle di vario genere (rotazioni, posteggi fissi, anomali, stagionali) e oltre 2.700 licenze itineranti, cioè coloro i quali non sono titolari di un’area fissa ma devono girare e fermarsi soltanto a richiesta per il tempo strettamente necessario alla vendita. La somma dei commercianti su suolo pubblico nella nostra città è di 14.000 e più persone che legittimamente tutti i giorni animano vie e piazze in una forma di attività antica ma ancora presente.

 

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Non c’è dubbio che la presenza di migliaia di abusivi per strada stia gravemente danneggiando il loro lavoro. (E sul punto sarebbe ora che la Polizia Locale, da un lato, si organizzi con un gruppo specializzato per il contrasto ai fenomeni più visibili e le forze dell’ordine, dall’altro, perseguano le centrali di produzione dei prodotti contraffatti che generano un fatturato ormai calcolato in miliardi di euro). Ma il confronto con l’abusivismo, invece di generare una reazione a distinguersi in meglio ha prodotto una sorta di “concorrenza al ribasso”, le cui manifestazioni sono sotto gli occhi di tutti. Bancarelle che raddoppiano o triplicano lo spazio, norme di decoro minimo non rispettate, rifiuti abbandonati come in una discarica, prezzi “turistici” per coloro che operano nelle zone centrali, furgoni parcheggiati in doppia fila costante; insomma un suk disordinato e caotico senza molta dignità.

Il settore è stato per decenni appannaggio di operatori con lunga tradizione o valvola di sfogo per chi non aveva una particolare professionalità da spendere in altri mestieri. L’effetto è stata una stratificazione di norme, licenze, situazioni di fatto, una congerie confusa dove mettere le mani appariva un’opera improba. Bisogna ammettere che l’ex titolare degli uffici di Via dei Cerchi ci aveva provato in parte, intuendo che il vero punto debole è la mancanza di una seria programmazione del comparto. Ecco allora il censimento, ecco il prontuario per Polizia Locale e operatori con le regole e le sanzioni, ecco (ancora più simbolico) il Tavolo del decoro che ha riordinato l’assegnazione dei posteggi su una parte del Centro Storico, il territorio con la presenza più significativa di queste forme di attività.

Tuttavia una programmazione seria deve basarsi su una solida pianificazione allargata a tutto il territorio cittadino, guidata da una politica che sia in grado di fare il suo di mestiere, tenere conto degli interessi legittimi in campo, contemperarli laddove possibile, ascoltare tutte le voci e prendere decisioni, fare scelte con un occhio alla qualità dell’ambiente urbano e ai bisogni reali dei cittadini e di chi lavora e, soprattutto con un’idea di città.

Roma ha ancora bisogno del commercio su aree pubbliche? Io penso di sì, vuoi per la tradizione, per l’abitudine, per il clima, per la completezza dell’offerta, per l’economicità, direi per il carattere dell’Urbe.

Occorre, però, un solido riordino delle postazioni, per questo adottare lo schema già usato per il piano dei cartelloni pubblicitari era un buono spunto: individuare precisamente la posizione e la tipologia dei banchi nel rispetto della viabilità, del patrimonio storico e artistico, della fruibilità degli spazi pubblici. E regole semplici, immediate ma che mirino a innalzare la qualità dei prodotti e dei servizi offerti, ridisegnare il complesso normativo, anticipando anche il Testo Unico regionale, la cui riforma langue inopinatamente ormai da tre anni in Consiglio regionale, un testo lungo e complicato che appare già vecchio e superato.

Ma, nonostante tutti gli sforzi, mancherebbe ancora l’occasione, il “gancio” per affrontare questa massa critica e compiere un’opera apparentemente titanica. L’occasione è l’applicazione della Direttiva Bolkestein che obbliga a rimettere a bando tutti i posteggi e rilasciare le nuove concessioni entro maggio 2017. Un’occasione irripetibile (anche se con le limitazioni, le cautele e i paletti introdotti dalle Regioni con un documento unitario del 2012).

L’occasione si sarebbe potuta sfruttare anche per differenziare i vari tipi di commercio su area pubblica, applicando il principio in maniera differente – per esempio – tra i mercati e i posteggi fuori i mercati. Si sarebbe potuto intervenire razionalizzando il numero dei mercati rionali, eliminando e accorpando quelli non più utili, spostando alcune attività da fuori a dentro il mercato, si sarebbe potuto immaginare la creazione di reti d’impresa che, attraverso un accordo tra i vari operatori, consenta economie e metta a disposizione risorse per riqualificare tutto il settore. Si sarebbe potuto meglio individuare le merceologie più opportune a seconda dei territori o del posizionamento. Si sarebbe dovuto, insomma, consentire a coloro che lavorano nel campo di alzare la testa e di scegliere un percorso qualitativamente innovativo che non li releghi ad attività negletta. E si sarebbe dovuto consentire alla città di riacquistare un po’ di dignità, di reagire anche in questo alla rassegnazione di un declino che appare inarrestabile.

“Si sarebbe”, “si potrebbe”. Sì, perché a oggi abbiamo un quadro sconfortante. Non abbiamo traccia di atti neppure propedeutici dell’assessorato al ramo; Adriano Meloni è sicuramente una brava persona ma ha l’aria del turista capitato per caso a Roma, senza conoscere storia, situazioni e senza avere, soprattutto, soluzioni per affrontare gli annosi problemi del terziario romano. A questo aggiungiamo che l’attuale maggioranza capitolina sta conducendo in tutte le sedi istituzionali una battaglia per non applicare la Direttiva e lasciare sostanzialmente la situazione così come è. Nei casi migliori, imprenditori che faticano a iniettare dosi di innovazione e, nei peggiori, degrado e sfruttamento da parte di cricche inqualificabili.

È ancora possibile cambiare il segno? Sarà fatta una scelta chiara per una città davvero all’altezza della sua bellezza?

Le premesse non sono incoraggianti, ma noi non demorderemo, modesti cronisti, magari, ma testardi e appassionati di Roma.

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6 risposte

  1. Io sono perfettamente d’accordo con questo articolo. Ho vissuto all’estero tanti anni e bancarelle come quelle che vedo sotto casa mia a via Appia Nuova non esistono da nessuna parte. Sarebbe il caso di fare qualcosa entro la scadenza della direttiva

  2. La Direttiva Bolkestein è un atto di violenza inaudita. L’esproprio legale di Aziende private acquistate con sacrifici e messe a bando senza alcuna certezza. Una precarizzazione di tutto il comparto distributivo su area pubblica finora gestito da micro imprese e nuclei familiari e in futuro appannaggio di società di capitali e grande distribuzione straniera. Se il Sig. Beckett intendesse fare informazione esatta (ma ne dubitiamo fortemente) visto il plauso iniziale a Marta Leonori per il suo intervento su FBook , dovrebbe dire tutto e non solo quello che serve al progetto di oligolio e monopolio commerciale nelle grandi metropoli.
    Ricordiamo infine all’ex Assessore (che forse lo aveva dimenticato nei suoi due anni di “Non governo” della città), che lei era responsabile delle attività produttive e “Non della disoccupazione” (che ha incentivato) a Roma.

    1. “esproprio legale di aziende private”, sì private ma operanti su suolo pubblico, che è tutt’altro che privato.
      Se si vogliono maggiori certezze, basta prendersi un locale in affitto ed aprirci l’attività volute. Se invece si vuoel continuare ad operare su suolo pubblico, bisogna sottostare alle norme, di cui la Bolkestein è solo una di esse.
      Anche riguardo alla mancanza di certezze, se si fa gli ambulanti è un po’ nella natura di quell tipo di commercio. Se è di una maggiore stabilità che si ha bisogno, lo ripeto, basta prendersi un negozio in affitto e passa la paura.

      1. Questa direttiva va abrogata definitivamente perché è una di una violenza inaudita.. pensate a quante famiglie si metterebbero sulla strada.. io per esempio ne ho comprata una circa 15 anni fa’ e fino ad esso ci ho mandato avanti la mia famiglia con due bambine piccole … che faccio ora vado a rubare?? Oppure vengo a mangiare e a dormire dal sig. ANDREA BECKETT ???

  3. Non ho capito se la direttiva riguarda anche le edicole, i chioschi di fiori e i chioschi dei mercati rionali ( che avvengono su suolo pubblico ma sono strutture amovibili/ fisse)

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