Una riflessione sul nuovo (finora inutile) regolamento OSP

Partendo dall'inutilità delle nuove norme, con l'abusivismo che continua ad imperare, pubblichiamo anche alcune considerazioni sul nuovo regolamento di un esperto della materia OSP

Del nuovo regolamento OSP, approvato dall’Assemblea Capitolina lo scorso marzo, abbiamo già detto tutto il male possibile, sia rispetto al merito della normativa, sia al suo travagliato iter approvativo, sia, infine, riguardo alla vera e propria presa in giro dei cittadini da parte dell’amministrazione capitolina tutta.

Che il provvedimento non potesse avere grossi impatti immediati sul territorio era notorio, considerato che la normativa emergenziale “COVID”, quella che concedeva spazi esterni ulteriori ai locali per aiutarli a ripartire dopo la pandemia, è ancora vigente fino alla fine di quest’anno (salvo ulteriori incredibili proroghe parlamentari di cui non ci stupiremmo più).

L’aspettativa era però che almeno la nuova disciplina sanzionatoria dispiegasse qualche effetto, stante che il problema principale delle OSP a Roma è la percentuale di abusivismo che, ad essere buoni, interessa almeno la metà delle concessioni esistenti, come d’altronde dimostrato ogni volta che la Polizia Locale fa i controlli.

Prendiamo l’esempio emblematico di piazza Navona, un luogo che strabocca di tavolini. A metà marzo scorso la Polizia Locale effettuò dei controlli a tappeto su tutti i locali della piazza e il risultato fu la scoperta di 450 mq di OSP abusive.

A fine maggio scorso i controlli sono stati ripetuti e questa volta sono stati trovati 350 mq di occupazioni abusive.

A noi già questi fatti dimostrano che neanche col nuovo regolamento si riuscirà a ripristinare un minimo di legalità in una materia che da decenni è terra di conquista degli esercenti più spregiudicati. E le foto che seguono mostrano alcuni esempi di tavolini di dubbia liceità.

 

Possibile che a via della Croce i tavolini prendano oltre la metà dell’ampiezza stradale?

 

L’incrocio tra via della Croce e via Mario de’ Fiori è sempre occupato da tavolini

 

Tavolini sulla carreggiata in piena curva

 

A Campo de’ Fiori i tavolini lambiscono la fontana

 

Ma il codice della strada non prevede un’occupazione massima della metà del marciapiede?

 

 

Di esempi come questi se ne possono produrre a centinaia e stanno a dimostrare che l’utilizzo del suolo pubblico da parte dei locali è ancora sostanzialmente del tutto fuori controllo, con buona pace dei proclami che l’amministrazione sventola ogni volta che i vigili fanno qualche retata di locali. In realtà i risultati di quelle operazioni stanno a confermare che l’abusivismo a Roma continua ad essere la norma e delle due l’una: o l’amministrazione Gualtieri è connivente con un tale stato di cose, oppure è totalmente incapace di mettervi mano. E sinceramente non sapremmo quale delle due ipotesi sia la peggiore.

 

 

Detto della sconfortante situazione sul campo, vogliamo anche condividere le considerazioni che un esperto della materia ha fatto sul regolamento approvato a marzo scorso. Le riflessioni che seguono sono di Stefani Fabi, un ex-dipendente capitolino che nei vari ruoli da lui svolti all’interno dell’amministrazione ha accumulato un’esperienza poco eguagliabile proprio sulla materia delle occupazioni di suolo pubblico.

 

 

Alcune considerazione sulla Delibera Assemblea Capitolina 118/2025

 

Recentemente l’Assemblea Capitolina ha approvato il nuovo “Regolamento per la disciplina delle occupazioni di suolo pubblico delle attività di somministrazione di alimenti e bevande” per la città di Roma con Delibera Assemblea Capitolina 118 del 6 marzo 2025.

Il Regolamento ha, al suo interno, alcune novità, rispetto ai precedenti provvedimenti sulla stessa materia, non tutte positive.

La prima, la più significativa ed evidente, riguarda il metodo di calcolo della superficie OSP potenzialmente concedibile: sostanzialmente per due ordini di motivi:

  • precedentemente la superficie concedibile era condizionata alle caratteristiche “geografiche” dell’area dove l’occupazione veniva richiesta. Veniva privilegiato lo spazio esterno all’attività richiedente, le sue caratteristiche, che subordinavano tutto il resto, in quanto spazio pubblico composto di tanti elementi;
  • la superficie interna del locale (articolo 1, comma 4) diventa il presupposto in base al quale il soggetto richiedente può presentare la domanda di concessione di suolo pubblico. A tale scopo si opera una forzatura sulla legge regionale 22/2019 (articolo 74 comma 1, lettera b) che prevede la “superficie di somministrazione”e non la “superficie interna” quale spazio che caratterizza una attività, appunto, di somministrazioni di alimenti e bevande. Tra l’altro nello stesso articolo 74 viene specificato che non rientrano nel computo della superficie dello spazio dedicato alla somministrazione “l’area occupata da magazzini, depositi, locali di lavorazione, cucine, uffici e servizi”. La DAC 118/25, invece, al comma 3) fa riferimento a quanto previsto nella legge regionale mentre al successivo comma 4) computa “la superficie totale dell’esercizio ad esclusione della superficie dei magazzini”. Si crea, pertanto, uno spazio artificioso diverso da quello che è comune a tutte le attività commerciali senza distinzione alcuna. La legge regionale, infatti, individua con precisione quali sono gli spazi destinati alla somministrazione caratterizzandoli per la loro accessibilità al pubblico per motivi di Igiene e sicurezza. La DAC, invece, altera questo principio aumentando gli spazi, anche laddove non c’è la possibilità di accesso al pubblico, per dilatare la superficie OSP concedibile calcolata sulla sua percentuale. Con ciò sposta anche le priorità fra le due dimensioni; quella esterna e quella interna del locale tanto che aumenta anche le casistiche in base alle quali è possibile richiedere l’OSP dando la possibilità di posizionare, ad esempio, l’occupazione su più fronti del locale, alla distanza (metri cinque) dal fronte esercizio, ecc., ecc..
  • La DAC non tiene inoltre, conto del regolamento SIAN delle ASL (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione), che, anche in questo caso, individua gli spazi ad uso pubblico o meno, delle attività di somministrazione, e stabilisce un parametro per il numero dei posti a tavola che ogni attività può “apparecchiare”, sia all’interno che all’esterno del locale, che è lo spazio cucina. Infatti, tra i “Requisiti specifici obbligatori per tipologia di locale” nel paragrafo dei locali cucina, punto e), prevede che per le attività di somministrazione (ristoranti), a fronte di una superficie minima pari a 16 mq sono consentiti 30 posti a tavola e che per ogni posto in più la superficie cucina deve essere aumentata di almeno 0,20 mq. Per particolari lavorazione (semilavorati, precotti) la stessa può essere ridotta ad 8 mq. Pizzerie 14 mq, pizzerie rustiche 10 mq.

 

Sarebbe stato più semplice attenersi a quanto previsto dalle norme e dai regolamenti regionali in materia senza procedere a voli pindarici normativi in considerazione anche del fatto che nella nostra giurisprudenza vige il principio della gerarchia delle fonti anche in considerazione del fatto che in sede di comunicazione per l’apertura di una attività di somministrazione il titolare della stessa deve dichiarare la dimensione dello spazio cucina per ottenere il nulla osta da parte della ASL competente.

 

Nella DAC, inoltre, è presente un vuoto normativo. sicuramente oggetto un approfondito ragionamento da parte dell’estensore del Regolamento, che riguarda l’articolo 19 dove non compare più la violazione per difformità.

E’ prevista l’occupazione abusiva per assenza di titolo concessorio, per eccedenza dello spazio occupato rispetto al concesso e per la mancata rimozione per scadenza, revoca, ecc., ma non per quello che si verifica quando il titolare di regolare concessione non osserva nel numero e nella tipologia e colore gli elementi di arredo dichiarati. In sostanza chi dichiara ad esempio 10 tavoli marroni e rotondi può metterne 15 quadrati e neri senza venire sanzionato.

 

Come risulta, inoltre, poco comprensibile quanto previsto dall’Art 10, comma 2, lett, g) laddove si consente l’occupazione del suolo pubblico “fino ad una distanza massima di 5 (cinque) metri” rispetto a quanto inibito dall’Art, 9, comma 6, lett. j) “qualora comporti l’attraversamento di una carreggiata da parte del personale di servizio e/o degli avventori”. Via del Governo Vecchio ha una carreggiata larga mediamente circa 5.50 m. e dove sono presenti numerose attività di somministrazione; in questo caso come si dovrà interpretare il combinato disposto dei due articoli della DAC sopra menzionati?

 

Altrettanto si può dire in merito all’uso o meno delle pedane. L’Art. 10, comma 9, lett. a) non ammette l’uso delle pedane sui marciapiedi (!!!) e nelle aree pedonali come anche l’Art. 13, comma 1, lettera b) limitatamente all’area CAM e ai Tessuti da T1 a T3 all’interno del Sito UNESCO.

Le pedane per disabili come stabilito dalla legge sono obbligatorie per poter entrare e uscire da un edificio in totale autonomia. In base alle norme vigenti per l’installazione degli scivoli per disabili, in particolare l’articolo 4 del Decreto 236/89 stabilisce che negli spazi esterni fino all’ingresso di un edificio devono essere previsti dei percorsi che permettano alle persone con ridotte  o nulle capacità motorie di raggiungere l’edificio stesso, questi sono, appunto, obbligatori nel caso in cui servano  sia per accedere ad un edificio pubblico che privato ma aperto al pubblico, nel caso in cui il dislivello da superare è superiore ai 2,5 centimetri. Appare evidente che la limitazione prevista dalla DAC potrebbe configurarsi coma una palese violazione delle norme esistenti in materia.

 

Ci viene, infine, un malizioso dubbio se la Zona Buffer (riconosciuta come parte integrante del sito Unesco  di Roma nella Lista del Patrimonio Mondiale nel 2023 con decisione durante la 45^ Sessione del World Heritage Committee di Riyad) sia stata considerata o meno parte integrante o meno del Sito UNESCO “Core Zone”.

La Dac 118/2025 (art. 1) suddivide, infatti, il territorio della città in più ambiti ed a ciascuno di esse assegna un “parametro per la determinazione del limite delle occupazioni” in base al quale calcolarne la superficie. Tra queste non viene elencata la Zona Buffer del sito UNESCO.

Questa omissione può risultare molto grave perché “la convenzione UNESCO da sempre tiene in grande considerazione la protezione delle aree perimetrali esterne ai siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità, come strumento di maggior tutela e valorizzazione dei siti stessi.” (Centro di Documentazione si Patrimonio Mondiale – Sovrintendenza Capitolina). Per essere ancora più chiari, si legge ancora che, “la previsione di una vera e propria Zona cuscinetto (Buffer Zone) era esplicitamente incoraggiata dl WH Committee sin dal 2005. A partire dalla edizione aggiornata nel 2019, le Linee Guida Operative indicano la previsione di una “Buffer Zone”, intorno alla “Core Zone” costituita dal sito UNESCO vero e proprio, già nell’ambito della documentazione essenziale per la richiesta di inserimento dei siti nella Tentative List di iscrizione”. Questa procedura ribadiamo si è conclusa nel 2023 con il riconoscimento della “Zona Buffer”.

Le ipotesi potrebbero essere due:

  • la Zona Buffer viene, in modo sottinteso, ricompresa nella definizione di Sito Unesco e quindi quanto previsto per la seconda si estende anche alla prima;
  • la Zone Buffer non è stata proprio presa in considerazione per mancanza di conoscenza del fatto. Questa ipotesi appare sinceramente troppo inverosimile perché sarebbe veramente imbarazzante.

Concludendo nella DAC in questione ci sono sicuramente aspetti positivi come il riordino delle prescrizioni per l’occupazione ed alcune parti riguardanti le sanzioni e le procedure., ma queste purtroppo non compensano gli aspetti quanto meno poco chiari sopra evidenziati. Poteva essere fatto molto meglio, Un peggioramento rispetto al passato ed una ulteriore opportunità persa per la tutela ed il rispetto di un bene pubblico come lo spazio urbano.

 

 

Un’amministrazione realmente interessata a dare una sistemazione valida e definitiva alla materia OSP terrebbe conto di questi rilievi ed anzi avrebbe fatto bene a raccoglierli prima di licenziare il provvedimento finale (le occasioni non sono mancate).

Ma probabilmente l’interesse dell’attuale amministrazione Gualtieri (anche di questa, come delle tante altre che l’hanno preceduta) non è trovare un giusto e sostenibile equilibrio tra esigenze del commercio e l’interesse generale nell’utilizzo del suolo pubblico, bensì il continuare a lisciare il pelo ad una potente lobby, tanto da far scrivere direttamente a loro le norme.

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Una risposta

  1. Ormai da tanto tempo, a Roma, ognuno fa ciò che vuole. L’arroganza e la maleducazione sono all’ordine del giorno. Chi dovrebbe controllare non controlla e chi dovrebbe sanzionare non sanziona. Povera Roma e poveri noi cittadini.

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