Tra i tanti cambiamenti che stanno interessando il commercio romano ve n’è uno che desta particolari preoccupazioni: è la vera e propria invasione di negozi collegati in qualche modo agli alimenti che approfittando delle tutele previste per i negozi di vicinato, i laboratori artigianali e le gallerie d’arte, aprono senza alcun controllo puntando tutto sulla vendita degli alcolici.

E’ questo un fenomeno che sta interessando il centro storico, con un’accelerazione formidabile negli ultimi mesi, ma anche altre aree della città come il Pigneto e San Lorenzo, ossia i luoghi in cui si concentra il divertimento serale e notturno e quindi dove l’alcol è merce preziosa.
Tutto ciò sta stravolgendo i parametri urbanistici che prevedono un equilibrio nella tipologia di offerta commerciale e portando all’espulsione di moltissimi esercizi commerciali tradizionali che costituivano parte integrante del tessuto urbano. Non potendo infatti i laboratori artigianali non-alimentari, le botteghe storiche o i veri negozi di vicinato competere con queste vere e proprie rivendite di alcol, succede che tutte quelle tipologie di commercio stanno praticamente sparendo dalla città storica. Peraltro quei negozi erano radicati nel tessuto cittadino ed i loro titolari parte integrante della comunità, mentre le nuove attività sono normalmente gestite da cittadini extracomunitari che non si pongono neanche il problema dell’integrazione, che spesso dormono anche all’interno dei negozi e più in generale li conducono con standard che nulla hanno a che fare con una comunità cittadina.

Lungi da chi scrive l’idea di discriminare chi proviene dall’estero o da fuori dell’Europa. Ma certamente l’esercizio del commercio con modalità totalmente diverse da quelle nostre tradizionali (orario continuato spesso fino alle 24 ore, standard igienici ridotti, assenza di preparazione professionale o reale esperienza) pone problemi di concorrenza che se non affrontati e gestiti non possono che portare all’eliminazione di chi intraprende rispettando le regole e le consuetudini.
Tornando all’invasione dei minimarket, di friggitorie e kebaberie e di “gallerie d’arte”, essa è determinata dall’aggiramento delle norme che prevedono un contingentamento dei negozi legati all’alimentare; le modalità per aggirarle queste norme sono conosciute da tempo, fin dalla passata consiliatura, quando si iniziò a chiedere di porre dei limiti più chiari ed efficaci. Nonostante infatti le liberalizzazioni in materia di commercio, la normativa prevede la possibilità di porre limiti per tutelare valori protetti dalla Costituzione come la salute, l’ambiente umano e la tutela dei beni culturali. E la necessità di porre dei limiti è dimostrata da alcuni numeri che danno la misura di come gli esercizi commerciali collegati al cibo ed alle bevande siano strabordanti rispetto a quelle che sarebbero le necessità della popolazione residente. In molti rioni del centro il rapporto tra questi negozi e gli abitanti è inferiore ad uno a dieci, nel senso che vi è un negozio legato al cibo ogni dieci abitanti. Questo vuol dire sia che il numero di questi esercizi commerciali è esagerato ma anche che il numero di abitanti in centro ha raggiunto livelli bassi in maniera preoccupante. Un centro desertificato perde infatti una delle caratteristiche che lo rendevano unico al mondo, ossia il fatto di essere vivo e pulsante non solo di notte ma durante tutto l’arco della giornata, con famiglie a popolarlo, bambini a giocarci ed anziani a mantenerne la memoria.
Lo stravolgimento in atto sta invece espellendo tutto il buono, abitanti e negozi storici, sostituendolo con case-vacanze e B&B abusivi al 70% e somministrazione della peggior specie, con cibi e bevande di sempre peggior qualità, puntando tutto sul prezzo più basso da fare al turista o all’avventore di turno.
C’è qualcuno che sta gestendo tutti questi fenomeni? Si direbbe proprio di no. Ora che la giunta pare essere caduta definitivamente (pur con l’incognita delle dimissioni che si possono ritirare menzionata dal Sindaco nel suo ultimo messaggio) si è persa anche la possibilità che qualcuno provi a porre un freno a questa deriva. Va detto che anche a governo cittadino vigente non è che si notasse tanta attenzione alla cosa. Da una parte c’era un sindaco che conosceva il centro storico solo per vessare gli abitanti con tariffe ZTL irragionevolmente punitive e per realizzarvi finte pedonalizzazioni, non avendo egli mai dato un’idea di come vede una parte tanto importante di Roma. Dall’altra c’era un assessorato al commercio che seppur stava lavorando ad alcune modifiche delle normative, non appariva rispondere con la decisione e tempestività necessarie ad un’invasione che ogni giorno si mangia nuovi pezzi di città che sarà quasi impossibile riconquistare.
L’unica iniziativa in campo per cercare di porre un freno all’apertura di nuovi negozi collegati al cibo negli ambiti cittadini già saturi era stata promossa dalla consigliera del Municipio I Nathalie Naim e portata avanti dal Presidente della commissione commercio Orlando Corsetti. Si tratta di modifiche alla normativa per vietare qualsiasi tipo di apertura di negozi “food” negli ambiti considerati saturi. Il provvedimento era già stato adottato dalla Commissione Commercio ma aveva ricevuto parere negativo dal Dipartimento alle Attività Produttive, motivato dall’assenza di uno studio che giustifichi restrizioni così forti. Non va trascurato infatti che fare provvedimenti non ben motivati equivale a farseli impallinare al TAR dal primo esercente che fa ricorso.
Qualche settimana fa si tenne una seduta della Commissione Commercio in cui si fece il punto sulle modifiche proposte, presenti tutti gli interlocutori necessari, compresa l’assessore Leonori e la dirigente del suo dipartimento. L’assessore comunicò che finalmente erano disponibili i dati sul commercio che avrebbero permesso di motivare le restrizioni che si stavano proponendo. Il dipartimento si impegnò quindi a rivedere il proprio parere alla luce di questi dati in un tempo quanto più possibile ristretto (un paio di settimane). In caso di parere positivo si sarebbe proceduto senza indugio alla presentazione del provvedimento in Assemblea Capitolina.
Con la caduta del governo cittadino questo processo sarà l’ennesimo che subirà una fermata, cosicché le nuove aperture di negozi pseudo-alimentari negli ambiti saturi potranno continuare indisturbate.
Su questo tema ci sarà da sensibilizzare immediatamente il commissario che il Prefetto nominerà a fine ottobre, affinché istituisca una moratoria per le aperture di questo tipo di negozi. Non sarà facile ma in mancanza di un qualche intervento lo stravolgimento del commercio in molte aree centrali della città sarà ben presto definitivo e irreversibile.
2 risposte
Problematica vera, ma non potete fare un articolo sui negozi – rivendite d’alcol e mettere la foto di un fast food halal.
Anche innumerevoli “laboratori artigianali”, come quello mostrato da una delle foto, stanno approfittando di alcune tutele previste dalle normative per stravolgere il commercio in molte zone della città.