Le sale cinematografiche stanno morendo. E la colpa non è solo del Covid

A settembre, a Roma, hanno riaperto 25 schermi mentre un anno fa erano 41. Incassi ridotti dell'80%. Ma i film a casa non saranno mai la stessa cosa

La crisi del cinema e soprattutto la chiusura delle sale cinematografiche a Roma non devono lasciare indifferenti. Il Covid ha dato una spallata pesante a un settore che in Italia rappresenta un importante indotto e che già traballava prima dell’epidemia.

Foto da shockwavemagazine.it

Nella Capitale durante il lockdown sono andati persi 24 milioni di euro derivati dai mancati incassi ai botteghini. Dal 15 giugno al 22 settembre le sale hanno incassato 1,4 milioni di euro, mentre nell’estate del 2019 il volume d’affari aveva superato la cifra di 10,5 milioni di euro. Nel mese di settembre 2020 hanno riaperto solo 25 sale, mentre l’anno precedente erano ben 41. Per non parlare dei lavoratori a rischio licenziamento, molti con contratto a tempo determinato.

Una situazione veramente difficile che sembra lontana dal risolversi nonostante alcuni contributi statali e il ritorno, seppur timido, di una parte di pubblico. Si è detto spallata proprio perché la crisi del Cinema ha radici molto più profonde del Covid, risale agli inizi degli anni Duemila quando in Italia cominciavano a spopolare i primi blockbuster e lo streaming online mostrava il suo enorme potenziale.

Non si deve cadere nell’errore di vedere nel Covid il mostro su cui gettare tutte le responsabilità di molte criticità endemiche: sarebbe un modo troppo semplice per voltarsi dall’altra parte.

La comparsa di piattaforme streaming, che tramuta il vecchio blockbuster in una dimensione liquida, è il vero problema e l’evoluzione del noleggio a singolo film in abbonamento mensile a costo ridotto ha creato un’offerta difficilmente contrastabile.

Infatti, bisogna sottolineare come il progresso tecnologico non si può e non si debba frenare, quando il suo scopo è quello di agevolare la vita di tutti i giorni. Ma quello che invece non dovrebbe mancare, e che purtroppo sta mancando, è il processo di sensibilizzazione delle persone verso tutti quegli ambienti che rischiano di chiudere per sempre. Questo è un discorso trasversale che vale per tutti quei settori che avevano resistito fino ad ora e che adesso sentono il terreno franargli sotto i piedi. Parliamo ovviamente delle librerie, dei pochissimi negozi di musica, di tutta la filiera legata al collezionismo di film, vinili e molto altro.

Deve valere allora l’assunto fondamentale che non può esistere uno spettacolo teatrale senza teatro, come non può sopravvivere un modo di fare cinema senza una sala cinematografica. Senza incassi non si producono film, ma con le sale chiuse non si producono incassi. Proprio per questo motivo molti produttori e registi firmano contratti di collaborazione con le piattaforme streaming, i titoli saranno trasmessi in esclusiva online e in alcuni casi concessi anche alle sale cinematografiche sotto pagamento di un canone. Il risultato va da sé: perché andare al cinema spendendo il doppio o il triplo se il film verrà trasmesso in tv senza costi aggiuntivi per il mio abbonamento?

Potremmo discutere all’infinito su questo meccanismo, essere favorevoli o contrari, ma per ritornare al discorso della sensibilizzazione si deve riflettere su una constatazione: il cinema rappresenta la storia del nostro paese, le sale cinematografiche conservano un vissuto collettivo e personale che andrebbe difeso, costi quel che costi.

Ogni passaggio che prima si effettuava per vedere un film racconta qualcosa di noi: la scelta del giorno in cui andare al cinema, il dibattito su quale film vedere, la scelta della sala, la coda per il biglietto, la scelta del posto che, se arrivi in tempo, è sempre la stessa “fila centrale non troppo in alto”, come se fosse una tribuna d’onore allo stadio; due secchielli di popcorn, una coca cola alla spina, uno sguardo alle locandine della programmazione settimanale, poi l’ingresso, la maschera che stacca il talloncino e ti augura buona visione, la ricerca del posto in penombra, i trailer “questo dobbiamo assolutamente vederlo”, il buio in sala “hai spento il telefono?” “no, ho messo il silenzioso”, l’audio che si alza e l’emozione che sale, sapendo che per poco più di due ore saremo immersi in una nuova dimensione, nella speranza che nessuno dietro di noi commenti il film scena dopo scena.

Edward Norton nel film Fight Club

Ecco, questo era il cinema, ante-Covid, ma soprattutto prima dello streaming in tutte le case, un’esperienza emotiva che iniziava prima della proiezione. Ora non abbiamo tempo, non possiamo essere romantici, quindi si sceglie la tecnologia, il divano è comodo ma è anche sicuro di fronte alla paura della pandemia, non dobbiamo usare gel disinfettanti né indossare la mascherina. Risparmiamo qualche euro, sottoscriviamo un abbonamento e parte il cinema in pantofole, dopo cena, cominciamo a guardare cataloghi di film infiniti, sforzandoci di ricordare quelli visti e quelli no, “è passata già mezzora, hai scelto?” “no”, il nervosismo sale, il tempo continua a scorrere, ci sentiamo sempre più stanchi e forse sceglieremo un film da vedere in un altro giorno, perché non stiamo godendo di nessuna esperienza cinematografica, solo un mero palinsesto televisivo che qualcuno ha impostato per noi. Alla fine, un guizzo “ti ricordi questo?”. “Sì, lo abbiamo visto al cinema”. “Già, poco prima che chiudesse”.

Sono più di 40 le sale che hanno chiuso i battenti a Roma. Per molte di loro sono previsti dei progetti di recupero, alcune sono state vendute, altre ancora sono abbandonate al degrado. La lista dei cineclub, invece, è molto più lunga. Servono programmi di sensibilizzazione, fondi di sostegno, una vera legislazione sulle piattaforme online e una tassazione che imponga loro il dovuto. Una prassi anti Covid meno rigida e l’ascolto concreto degli appartenenti alla categoria.

A noi invece non resta che il senso civico di cercare di salvare pezzi di storia personale ma prima ancora collettiva, attraverso uno sforzo che non deve suonare come antitecnologico, ma semplicemente di resilienza delle nostre abitudini.

Le sale cinematografiche che hanno chiuso in città, lista parziale aggiornata al 2018: Fiamma, il Metropolitan, l’Etoile, il Rivoli, il Capranica, il Capranichetta, il Quirinetta, l’Embassy, il Rouge et Noir, l’Arlecchino, l’Ariston, il Gioiello, il Capitol, l’Holiday, il Triomphe, l’America, l’Archimede, il Rex, il Roma, il Clodio, l’Alce, l’Airone, il Trevi, il Radio City, il Jolly, il Ritz, il Clodio, l’Aventino, il Balduina, il Belsito, l’Imperialcine, il Cola di Rienzo, il Planetario, l’Augustus, l’Astra, il Mazzini, il Gregory, il Quirinale, il Palazzo, il Rialto, il Preneste, il Giardino, il Cinestar, l’Academy Hall, l’Horus, l’Avorio.

 

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