L’attenzione all’ambiente parte dal verde sotto casa e finisce al pianeta intero. Una rassegna per riflettere

Prosegue al cinema Tiziano di Roma la rassegna cinematografica “Il pianeta negli occhi”, quattro film proiettati la domenica mattina sull’emergenza ambientale, sulle soluzioni e sui comportamenti che ciascuno di noi può adottare. Una parte del ricavato finanzia il Comitato Don Minzoni, della quale abbiamo parlato più volte per la sua attività di recupero del verde nel II Municipio. 
Ospitiamo volentieri l’articolo di Rico Capone, dell’associazione, che ci racconta la mattinata di domenica 16 febbraio e il film “Il pianeta in mare” sul disastro di Porto Marghera. 

Prossimo appuntamento domenica 22 marzo con la pellicola “Aquarius” e molti ospiti

 

di Rico Capone

Non era affatto scontato che in una mattinata piena di sole e di colori, quasi un assaggio di primavera a metà febbraio, si riempisse anche una delle ultime sale cinematografiche rimaste aperte nel quartiere Flaminio. Eppure è accaduto.

Forse perché l’appuntamento con ‘Il pianeta negli occhi film fest’, il ciclo di proiezioni curato da Chiara Nano e Veronica Flora al cinema Tiziano di via Guido Reni la terza domenica di ogni mese mese, è già diventato una consuetudine molto apprezzata dai residenti di zona e non solo. Un richiamo della foresta che ha funzionato grazie al Comitato Don Minzoni, attivo da qualche anno nel recupero delle aree verdi abbandonate del II° Municipio e deciso a promuovere una sensibilizzazione culturale, insieme ad una raccolta di fondi che servirà a piantare nuovi alberi nel quartiere, in collaborazione con Terza Visione GCC e con il patrocinio di Asvis-Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, di UnWomen e di UnEnviroment.

 

Un’occasione unica, per molti attivisti e volontari di associazioni intervenuti al Tiziano, di fermarsi in sala e nel foyer anche dopo la proiezione, insieme al presidente onorario di Legambiente, Ermete Realacci, al biologo Ugo Ponce di Planet2084-onlus e al critico cinematografico Mazzino Montinari, a discutere delle immagini appena scorse sullo schermo.

Il docufilm di Andrea Segre, premiato all’ultimo festival di Venezia, ha raccontato in poco più di un’ora come si sopravvive a porto Marghera alla fine di un lungo ciclo produttivo, svelando con grande forza evocativa una sorta di inconscio di quello sviluppo industriale concepito secondo i modelli lineari del secolo scorso, incapaci di mitigare gli impatti sull’individuo, sulla società e sull’ambiente.

Con la proiezione de ‘Il pianeta in mare’ si è assistito al disvelamento di un mondo ormai quasi del tutto sommerso, nel quale dopo gli ultimi anni di battaglie per il lavoro e la dignità, non resta che andare a caccia degli ultimi disperati della terra, per offrirgli una routine cieca e ripetitiva, come anellidi immersi nel limo.

Ed è forse per questo motivo che nell’abisso svelato da Segre e Bettin sulle note finali della struggente voce di Patty Pravo, Venezia riguarda tutti noi. Riguarda la crisi climatica e ambientale che attanaglia il pianeta, che è innanzitutto una crisi produttiva, la cui possibile soluzione attraverso i modelli riduzionisti evocati in sala da Luciana Castellina non è che l’inizio, a cui subito seguirà la domanda angosciante di cosa potranno fare milioni di lavoratori, prima che l’economia abbia completato il suo ciclo di trasformazione, attraverso ripetuti processi di distruzione creativa.

Quasi un azzardo, con la sola speranza di riuscire a compiere una manovra impossibile, che assomiglia a quella di una nave troppo grande in una laguna troppo piccola. Come scriveva lo stesso giorno Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera a proposito del ‘Green New Deal’ appena lanciato in Europa, il rischio principale è quello che i governi cadano nella “trappola dell’orizzonte”, dando la priorità di una potenziale nuova spesa in deficit a quei problemi immediati di sopravvivenza, senza affrontare adeguatamente quei fenomeni i cui costi ricadranno sulle generazioni future.

E se nemmeno tutto questo bastasse, bisogna pur tenere presente che per fortuna la nostra green economy, come ha ricordato Realacci rispolverando il recente ‘Manifesto di Assisi’ firmato da diverse associazioni di categorie produttive, affonda le radici in un modo di produrre legato da sempre alla qualità, alla bellezza, all’efficienza e alle esperienze positive di comunità e territori. Soprattutto in alcune zone del paese, non si è mai stati a disagio nel creare valore condiviso di pari passo con il profitto. Empatia e coesione sociale possono favorire la crescita di quest’attitudine. Come ha concluso l’avvocato Andrea De Rosa, presidente del Comitato Don Minzoni, anche nel quartiere il cambiamento è iniziato veramente solo quando si sono incontrate le persone con una luce che brillava negli occhi.

 

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