Emanuela Orlandi. La Commissione parlamentare sembra “clandestina”. Il fratello Pietro prosegue nella ricerca della verità

Al sit-in per ricordare la ragazza scomparsa, riportata in auge la pista inglese. Per evitare il rischio oblio, serve un raccolta cronologica degli eventi dal 1983 ad oggi

 

Ci siamo imbattuti una decina di giorni fa, sotto i portici di Piazza Vittorio, in un manifestino che pubblicizzava il sit-in per Emanuela Orlandi (uno dei pochi, forse l’unico, caso di affissione abusiva che non ci è dispiaciuto).

La manifestazione è stata organizzata dal fratello Pietro che non si è mai rassegnato e sta tentando di arrivare alla verità sulla scomparsa della sorella, ormai dal lontano 1983.
Un evento al quale non avremmo partecipato se non ci fossimo imbattuti in quel manifestino visto che, a parte sui profili social di Pietro Orlandi, non abbiamo evidenza di particolare pubblicità.

La cosa sorprendente è che la gran parte delle persone non è informata della costituzione, in questa legislatura, di un’apposita Commissione parlamentare bicamerale formata da 40 tra deputati e senatori incaricata di investigare sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, Commissione il cui lavoro viene raccontato poco dai media.

In questo articolo non ci dilungheremo sulle due vicende perché chiunque in rete può trovare le informazioni necessarie per sapere che cosa sia successo. Inoltre, la vicenda di Emanuela è stata anche raccontata in una docu-fiction sulla piattaforma Netflix dal titolo “Vatican Girl”.

Sabato 18 gennaio, alle 16, sotto la statua di Cavour posta al centro della piazza omonima, Pietro Orlandi ha parlato per quasi due ore, ricapitolando gli ultimi sviluppi della vicenda e radunando circa 300 persone sotto un cielo plumbeo che ha comunque sostanzialmente risparmiato dalla pioggia i partecipanti.

La ripresa video è presente, in due parti, sui profili social di Pietro Orlandi sul quale potranno essere riscontrate le sue dichiarazioni.

L’idea di fondo riproposta da Pietro è che la sorella sia stata usata come un espediente per mettere sotto pressione il Vaticano a livello mediatico ma che non potesse essere la sorella l’oggetto del ricatto, ma ben altro.

Inoltre, nell’ipotesi avanzata da Pietro Orlandi, la cosiddetta “pista inglese” – e cioè che Emanuela sia stata portata a Londra e nascosta o ricoverata da qualche parte – è sempre più attendibile perché i frammenti di dichiarazioni o ricordi nei quali si è imbattuto in questi anni la avvalorerebbero. Nello stesso tempo le indagini e la ricerca di riscontri a questi indizi da parte di chi dovrebbe indagare sono state pressoché nulle. Qui un articolo del Fatto Quotidiano al riguardo

Certamente in questi quasi 42 anni dalla scomparsa di Emanuela non si può non rilevare la cappa di omertà che è calata sulla vicenda a tutti i livelli da entrambe le sponde del Tevere.
Sembra che la strategia di qualcuno sia aspettare che i testimoni dell’epoca piano piano passino a miglior vita per rendere impossibile raccogliere le testimonianze. E proprio per evitare l’oblio servirebbe forse una raccolta di tutti i passaggi compiuti fin qui dalla magistratura, dal Vaticano, da Pietro Orlandi, dagli investigatori. Un album del lavoro svolto negli anni da chi ha tentato di far luce e anche dei tentativi di depistaggio. Ne verrebbe fuori un documento importante che da solo, con un semplice ordine cronologico, potrebbe raccontare molto degli ultimi anni della Repubblica.

“La verità”, come diceva Oscar Wilde, “raramente è pura e non è mai semplice”.

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