Sui tetti di Roma, ancora 26 sirene per l’allarme antiaereo. Un patrimonio storico da conservare

Le hanno censite due cronisti che hanno dato vita al progetto "Allarme in cielo", un libro e una app per riscoprire il sistema di difesa sonora rimasto attivo fino al 1975
Lorenzo Grassi, accanto ad una delle sirene superstiti

 

La guerra, che per le giovani generazioni è solo brutalità del passato, è tornata non troppo lontana dai nostri confini. Oggi nelle città ucraine i bombardamenti sono annunciati da una rete di sirene che produce un suono che nessuno dimenticherà mai, così come le nostre vecchie generazioni portano indelebile il ricordo di quel segnale intenso e continuo che li spingeva a rifugiarsi nelle cantine e nei sotterranei.

L’avvicinarsi dei bombardieri  era annunciato da una fitta rete di 54 diffusori sonori installati sugli edifici più alti e distribuiti in tutti i quartieri della città. Ogni sirena era collegata a quella successiva da una rete aerea di cavi lunga chilometri che veniva definita “la catenaria”.

Sebbene tutti credessero che di quel sistema di allarme ormai lontano nel tempo non fosse rimasta traccia, la tenacia e la curiosità di due giornalisti romani ha portato a scoprire che i tetti di Roma ospitano ancora 26 sirene e diversi chilometri di “catenaria”. Da questa ricerca è nato il progetto “Allarme in cielo, le sirene antiaereo a Roma“, che ha ricevuto un contributo della Regione Lazio proprio per rafforzare la memoria e come monito contro ogni guerra.

 

Lorenzo Grassi ha curato il libro “Allarme in cielo”, con la prefazione del collega che lo ha accompagnato nella caccia al tesoro Mario Tedeschini Lalli. Il volume può essere richiesto all’Associazione Sotterranei di Roma. Lo stesso progetto prevede anche un’applicazione per Android, scaricabile gratuitamente su Google Play, che offre una mappa interattiva delle sirene ancora esistenti e di quelle che furono.

La centrale che le governava tutte era nei sotterranei del Viminale ed è lì che terminava la rete di cavi che attraversava tutti i quartieri. Alcuni cavi giungevano fino a palazzo Valentini, sede della Prefettura, dove c’era una seconda centrale di emergenza. I romani, vedendo con sospetto questa ragnatela di fili elettrici che passavano sulla loro testa, durante la guerra fredda degli anni ’50 e ’60, immaginarono un suo utilizzo segreto a fini di spionaggio. In realtà i cavi svolgevano ancora la loro funzione di collegamento perché il sistema di allarme antiaereo rimase in funzione fino al 1975, unica città in Italia ad averlo conservato attivo. Si temeva l’arrivo di un’arma nucleare e le sirene avrebbero dovuto suonare in caso di alto tasso di radioattività.

 

Per fortuna non ce ne fu mai bisogno ma i costi per la manutenzione degli impianti furono oggetto di una lunga disputa tra Campidoglio e Ministero dell’Interno. Quando, infatti, nel 1959 il Viminale smise di finanziare la spesa, il Comune anticipò ingenti somme tanto che nel 1967 vantava un credito di 275 milioni. Fu solo nel 1975 che il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga decise di disattivare le sirene romane. Da allora, la metà di esse è stata dimenticata e distrutta, ma l’altra metà è ancora presente su tanti edifici e condomìni.

Nelle due foto che seguono, la sirena di Largo Brindisi e quella rimasta su Palazzo Brancaccio.

 

Il libro, ricco di curiosità e aneddoti, racconta il periodo di gestione di Agea (l’attuale Acea); quello del Ministero della Guerra; la tipologia di impianti; le ditte produttrici e molto altro. Il loro aspetto arrugginito e la lontananza nel tempo non debbono far credere che queste sirene siano necessariamente parte di un passato che non tornerà più e anzi la loro funzione oggi resta di grande importanza: quella di essere “sentinelle della memoria”.


In copertina la sirena di Largo della Gancia

 

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