La sanità abbandona i malati non Covid: sale operatorie e reparti chiusi

Al Pertini e S. Filippo Neri stop agli interventi anche oncologici. Il Vannini sbarra 5 dipartimenti. Il prof. Cognetti: avremo tanti morti per tumore

In questi giorni, per un problema di salute di una persona cara, mi sono trovato a frequentare diversi ospedali romani. Dopo aver letto titoli sulla sanità al collasso a causa del Covid e aver visto foto di ambulanze cariche di postivi al virus, mi aspettavo di trovare gironi infernali nei reparti, con pazienti sulle barelle e corridoi traboccanti. E invece i grandi ospedali romani sono come divisi in due: nell’area di pronto soccorso si assiste a scene difficili, con tanti malati in attesa di essere visitati, medici e infermieri bardati con tute anticontagio e un clima davvero pesante. Nelle altre aree degli ospedali c’è il deserto.

I lunghi corridoi del Policlinico Umberto I sono uguali a loro stessi da cinquanta anni: pareti scrostate, porte malferme, insegne senza lettere. Ma pazienti non ce ne sono. Tutte le altre patologie, quelle che da sempre hanno creato gli intasamenti e le liste d’attesa, sono state accantonate da una sanità distratta o, forse è più corretto dire, solo concentrata sul Covid.

Policlinico Umberto I

 

Al Sandro Pertini la situazione è ancora più spettrale. Il reparto di chirurgia, normalmente affollato di pazienti in attesa di operazioni o convalescenti, ospita solo quattro malati. Tutti i letti sono vuoti, il personale è disorientato, vive lo stato d’animo di quelle reclute che stanno per essere chiamate al fronte, mentre la guerra si sta già combattendo.

Reparto Chirurgia Ospedale Pertini ieri

 

La sanità laziale al di fuori del Covid si è fermata. Le malattie “tradizionali” sono state dimenticate, perfino i tumori e le patologie cardiovascolari che insieme fanno il 70% dei morti ogni anno in Italia sembrano divenuti roba di poco conto. Nel silenzio quasi totale dei media e della politica, si sta consumando un’altra strage, più pesante di quella provocata dal coronavirus in termini di numeri, ma ancora più grave perché evitabile con un po’ di organizzazione.

Ambulanze davanti al Pronto Soccorso dell’Umberto I

Gli interventi chirurgici vengono normalmente divisi in classi: dalla A (le operazioni più serie e non differibili) alla D (quelle che non rivestono carattere di urgenza). In questo periodo di “seconda ondata”, quasi 3000 interventi di classe D e C sono stati rimandati a data da destinarsi. Ma in alcuni ospedali, come il Pertini, non si fanno più neanche le classi A. Stiamo parlando di tumori avanzati, di colecistiti, di malattie molto gravi che vengono accantonate. I chirurghi possono operare solo urgenze quali occlusioni intestinali o ernia strozzata.

Al San Filippo Neri la situazione è la stessa e sono moltissimi i malati che hanno trovato le porte sbarrate, ai quali è stato detto di tornare a “fine pandemia” (cioè mai!). Addirittura chi si sta sottoponendo a chemioterapia è stato inviato all’ambulatorio di Tomba di Nerone. Si tratta di oltre cento pazienti oncologici che dovranno fare chilometri per trovare assistenza.

“Sono molto preoccupato”, ha dichiarato al Messaggero il prof. Pierluigi Marini, presidente di Acoi, l’associazione dei Chirurghi. “Dopo la prima ondata, a settembre avevamo recuperato solo il 60% della chirurgia oncologica e il 25% degli altri interventi. Ma nell’ultimo mese, questi dati sono peggiorati drammaticamente”.

Il professor Francesco Cognetti, direttore di Oncologia Medica del Regina Elena, prevede un forte aumento della mortalità per tumore nei prossimi mesi. “Durante la prima ondata – spiega – avevamo registrato un calo del 50% dei ricoveri per infarti e del 20% per malattie neoplastiche. Adesso lo scenario si fa più grave perché il ridotto accesso alle cure porterà infarti e tumori ad essere più letali del normale”.

Insomma stiamo trascurando in maniera colpevole tutte le patologie che fino a otto mesi fa ci terrorizzavano. Al Vannini, sulla Casilina, si è raggiunto il record: per far posto a 146 letti Covid, sono stati chiusi cinque reparti fondamentali (chirurgia, traumatologia, ortopedia, ginecologia e cardiologia).

La situazione non è migliore in altre regioni, come dimostra la storia di Martina Luoni, milanese, con un cancro al colon che lancia l’allarme: “Io, ventiseienne malata di tumore al colon, per il Covid non posso essere curata”.

Nei mesi estivi il ministro Speranza, che non faceva altro che lanciare reprimende contro i giovani in discoteca o al bar, non ha pensato di emanare una direttiva alle regioni obbligandole a diversificare le strutture ospedaliere tra Covid e non Covid. In questo modo si sarebbe garantita la continuità di cura a tutti i malati che ora sono abbandonati. Lo aveva suggerito la Federazione FOCE che riunisce bravissimi oncologi, ematologi e cardiologi. Ma l’appello è rimasto inascoltato e ora 11 milioni di italiani che soffrono di patologie gravi non Covid sono costretti a rivolgersi alla sanità privata. Viene alla mente la frase che Speranza ripeteva ossessivamente durante il primo lockdown quando definiva quella italiana “la migliore sanità del mondo”. Un ministro che durante la pandemia ha scritto un libro pieno di ridicole bugie e poi è stato costretto a ritirarlo dal commercio.

Gli italiani devono essere rispettosi delle regole, ma i politici devono rispettare gli italiani e il mandato che è stato loro conferito, altrimenti si dimettano, evitando prediche ipocrite.

 

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