Covid: le biblioteche impongono regole senza senso. 7 giorni di quarantena per un libro!

L'ISS assicura che il virus sopravvive massimo tre ore sulla carta. Per chi deve fare ricerca in biblioteca tutto è difficile. Però chiunque può toccare la merce sulle bancarelle senza controllo

 

Nella famigerata “Fase 2”, le biblioteche pubbliche sono state le ultime attività culturali a riaprire la consultazione al pubblico, seppur in modo graduale, nonostante il DPCM del 18 maggio disciplinasse le misure di sicurezza per l’accesso. Molte sedi hanno preferito restare chiuse e solo da poche settimane hanno cominciato a riaprire con forti limitazioni alle consultazioni in sede.

Infatti, al momento, in alcune biblioteche, è possibile accedere solo su prenotazione, ritirando il libro chiesto in prestito, in altre è stato vietato leggere o studiare negli appositi spazi dedicati. La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, con sede a Castro Pretorio e controllata direttamente dal MIBACT, ha ridotto drasticamente l’accesso, con un orario di sole quattro ore, dalle 10 alle 14, ed esclusivamente su prenotazione. Dalla prossima settimana verranno allentate alcune misure di restrizione: sarà possibile la consultazione in sala, ma solo del materiale prenotato, tutte le scaffalature a presa diretta saranno invece interdette. Così è avvenuto anche per le biblioteche universitarie e quelle degli istituti di ricerca.

A cosa è dovuto questo ritardo? Secondo i comunicati che venivano rilasciati di volta in volta, non vi era la possibilità di garantire la giusta igienizzazione delle aree, il distanziamento sociale e la sicurezza dei lavoratori.

L’ICPAL (Istituto centrale per la patologia degli archivi e del libro) già il 23 aprile 2020 aveva rilasciato delle linee guida per le operazioni di sanificazione e disinfezione degli ambienti, come appunto gli Archivi e le Biblioteche, al fine di contenere il rischio di contagio. Queste linee sono state aggiornate il 29 maggio, seguendo le ultime disposizioni del Ministero della Salute. Oltre alla normale sanificazione degli ambienti e degli arredi, l’istituto sottolinea come sia necessario depositare il volume consultato in una sorta di quarantena, chiuso in una busta di plastica e non consultabile per almeno 10 giorni, tempo ridotto poi a 7 dalle norme rilasciate il 29 maggio.

Che questa norma sia senza senso è confermato dal fatto che tutti gli studi dimostrano la brevissima sopravvivenza del virus sulla carta. L’autorevole rivista The Lancet cita il lavoro di diversi ricercatori secondo i quali non si va mai oltre le tre ore. Anche l’Istituto Superiore di Sanità nella tabella che vedete qui sotto, esclude che dopo tre ore possano trovarsi particelle infettanti su un libro (pagina 4 del rapporto su superfici, ambienti e abbigliamento).

Purtroppo, anche in questo caso, occorre rilevare che le tante normative introdotte in questo periodo di emergenza siano usate come pretesto per non lavorare e in conseguenza per non permettere agli altri di farlo.

La quarantena di 7 giorni per un libro ha messo all’angolo soprattutto le piccole biblioteche che, non potendo contare su un numero di personale adeguato, non riescono a garantire il rispetto dell’igienizzazione.

Se alcune di esse stanno cominciando a riaprire, questa serie di problematiche continua invece ad attanagliare il circuito delle biblioteche comunali di Roma.

Su 39 strutture, solo 12 hanno aperto i battenti, sempre con orari ridotti, con accessi su prenotazione spalmati in soli tre giorni settimanali. Una situazione che sotto certi punti di vista sembra rimandare allo stallo che ha colpito il settore della giustizia.

Infatti, i protocolli di contrasto al Covid non sono stati applicati e questo ha costretto le biblioteche romane ad andare contro corrente rispetto al DPCM del 18 maggio, dove tutte le attività pubbliche si sarebbero dovute allineare seguendo gli stessi parametri, come per esempio è avvenuto con i musei.

In questa situazione atipica, alcuni addetti ai lavori hanno rotto la cortina di silenzio, denunciando come i provvedimenti presi tendano a “scoraggiare gli utenti” all’uso di questi ambienti: obbligo di prenotazione per ritiro e consegna del libro scelto, numero limitato di libri in consultazione e in prestito, attesa del proprio turno, quarantena dei volumi e molto altro.

Ridurre l’afflusso degli utenti entra anche in contrasto con il Fondo a sostegno delle biblioteche comunali incrementato dalla Raggi prima della pandemia, un fondo che avrebbe dovuto garantire un accesso maggiore e agile alla popolazione, per accrescere la lettura e la diffusione della cultura.

Questo ritardo non è passato inosservato, tanto che martedì 9 giugno è stata convocata in Campidoglio la Commissione Cultura, con lo scopo di affrontare il problema che ha paralizzato il circuito bibliotecario. Eleonora Guadagno, Presidente della VI Commissione Capitolina Cultura, ha giustamente sottolineato come le biblioteche dovrebbero rientrare tra i “servizi culturali essenziali”, e quindi non possono essere trascurate con tanta superficialità.

Il nodo da superare resta quello legato alla sicurezza e all’igienizzazione dei locali e dei volumi presi in consultazione.

Arrivati a questo punto bisogna toccare un argomento al quanto spinoso: ovvero quello riguardante la reale percezione che si ha in città del concetto di distanziamento e delle norme di sanificazione.

Qualcuno, infatti, sia esso il Comitato Tecnico Scientifico o l’amministrazione in carica a Roma, ha il dovere di spiegare ai cittadini il perché non sia possibile usufruire di questi servizi pubblici “essenziali”. Poiché se il problema risiede effettivamente nel vincolo della sanificazione, allora dovranno anche dar conto di come sia possibile che dalle prime settimane di maggio molti commercianti ambulanti siano tornati a vendere la propria merce per strada, senza nessuna norma igienica contro il Coronavirus.

Alcuni venditori indossano la mascherina e i guanti, ma permettono alle persone di toccare la merce senza protezioni e di addossarsi al banco senza alcun distanziamento. Per la merce esposta non dovrebbe valere lo stesso parametro dei libri di una biblioteca?

Veniamo al distanziamento sociale. Agli inizi della “Fase 2” sono stati fatti molti proclami da parte dell’amministrazione comunale su come il servizio di trasporto pubblico avrebbe garantito il contingentamento delle persone, l’igienizzazione delle vetture e molto altro. Dopo qualche giorno, sono iniziate a piovere foto e video di come le norme non venissero minimamente rispettate dai cittadini e dal personale Atac che, il più delle volte, invece di fermare la propria corsa e far scendere le persone, continuavano a farne salire altre. Dunque, anche in questo caso, come è possibile che una biblioteca, ovvero uno spazio chiuso con personale e attrezzatura per l’igienizzazione, sia da considerare un luogo a rischio?

Forse la risposta non arriverà mai, anche perché è più facile rimediare in modo grossolano a un problema, dopo aver creato un disagio, piuttosto che dare delle reali spiegazioni: insomma un leitmotiv tutto italiano.

In questo caso dobbiamo sottolineare che, anche se l’amministrazione ha il dovere di monitorare e controllare i servizi della città, la burocrazia interna ai singoli uffici e la pioggia di continui provvedimenti e aggiornamenti, sta paralizzando importanti settori, come già è avvenuto con la giustizia.

Il punto centrale resta la qualità del servizio che si vuole garantire.

Non è certo una novità osservare come la cultura sia vista come un comparto accessorio e non fondamentale del paese. L’indotto, per anni, è stato cannibalizzato da tutti i governi in carica, da tutti gli schieramenti politici, con il risultato di avere un settore fortemente sottopotenziato, fermo al palo per quanto riguarda, la sburocratizzazione, l’ammodernamento delle strutture e dei circuiti telematici.

Intanto di fronte al mantra della “sanificazione” si è alzata la bandiera bianca: biblioteche e librerie stentano a ripartire e a tenere il passo, ma tanto che importa, troveremo pur sempre una bancarella dove acquistare un libro oppure leggerlo come ai vecchi tempi ammassati su un autobus, tra una chiacchierata e l’altra “rispettando” le norme di sicurezza.

 


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